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Roma, “La stele di Rosetta” al teatro Furio Camillo

Tratto da una storia vera, lo spettacolo offre un’occasione: quella di interrogarsi su una questione della quale, sembra, non si parli abbastanza. Quando la mente si ammala: cosa fanno quelli che sono intorno a colui che sta perdendo il senso della realtà? Sono in grado di unirsi per salvarlo? Oppure, come nel teatro, restano attori su un palcoscenico a recitare sempre la stessa parte, affinché tutto resti immobile in una folle recita giornaliera? Quale posto ha il dolore nella vita della famiglia protagonista di questa storia? E che vita è quella del malato protagonista? Dove la forte incapacità di comunicare lo conduce verso un’infantilizzazione che lo fa giocare nel ruolo di quell’imperatore francese che nel 1799 trovò la Stele di Rosetta, uno dei reperti archeologici più importanti della storia, perché permise la comprensione di un linguaggio fino ad allora rimasto incompreso, i geroglifici. Così il malato protagonista vuole conservare la Stele di Rosetta, perché nel gioco della sua follia essa è la traduzione di ciò che non può esprimere. Abbiamo voluto porre l’attenzione sulla malattia mentale e sulle dinamiche familiari che si innescano quando non c’è l’accettazione. In questa storia nessuno può essere, perché “essere” vuol dire accogliere l’altro. Tutti i protagonisti di questa storia restano chiusi nel loro perimetro e non fanno entrare nessun altro e ognuno resta per sé, solo, senza concedersi la possibilità di poter essere.

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