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Uno sguardo al settore agricolo [di DOMENICO MAMONE*]

00081_27102011-e1463729645764-660x330I punti di debolezza del settore agricolo che spiegano un certo ritardo strutturale sono ben noti: dimensione media bassa, sottocapitalizzazione, scarsa apertura ai mercati, sia nel senso di ridotta competizione che nel senso di limitatezza dei mercati di sbocco, limiti di carattere organizzativo. I dati Istat ci segnalano, tuttavia, un’agricoltura in ripresa che cresce più che le altre branche economiche. Nel quadro di un’economia italiana sostanzialmente ferma, addirittura in recessione, l’agricoltura dimostra una certa dinamicità con indicatori positivi. Infatti nel 2015, in particolare e con riflessi importanti nel 2016, è in ripresa il valore aggiunto del settore agricolo a prezzi correnti.  Ammonta infatti a 33,1 miliardi di euro, pari al 2,3% del valore aggiunto nazionale. Il contributo che il settore agricolo fornisce alle economie locali è quindi cruciale: la dimensione relativa può anche essere limitata, ma i sistemi economici territoriali hanno forte necessità di un robusto comparto agricolo e agroindustriale. Nel caso dell’agricoltura ci troviamo in genere di fronte ad un sistema produttivo poco coeso e poco radicato nel contesto sociale. toscana-copertina L’essere imprenditore viene appreso sul campo, generalmente in una impresa di tipo familiare che viene continuata dai figli, la manodopera viene selezionata con meccanismi extra-mercato sempre nello stretto giro delle relazioni sociali dell’imprenditore. Non è difficile, soprattutto nei contesti poco sviluppati assistere a colonizzazioni che stravolgono il contesto produttivo e anche sociale di un territorio e rischiano di farlo diventare impermeabile al cambiamento, poco aperto ai mercati esterni, poco capace di investire in capitale umano ed innovazione, in definitiva poco competitivo. La piccola, spesso micro-dimensione delle imprese, è un altro elemento di debolezza di questo quadro. Una micro-dimensione che sicuramente lascia intravedere il tentativo di una miope riduzione dei costi del lavoro per recuperare quella competitività che invece andrebbe cercata con altri strumenti e in particolare investendo in conoscenza, capitale umano e innovazione.  Alla luce di queste indagini il sistema produttivo appare come un sistema che ha paura di crescere, ha paura di confrontarsi con il mercato in una perversa “sindrome da “Peter Pan” che impedisce di sfruttare i punti di forza che pure esistono. Questo dato non può non far riflettere in quanto si spiega con la presenza di un numero significativo di imprese, spesso, con zero dipendenti. Un’impresa di questo tipo dovrebbe essere una eccezione, mentre in questo contesto territoriale sembra essere una tipologia abbastanza frequente e con ogni probabilità questo tipo di situazione nasconde il ricorso a forme di lavoro nero, irregolare e/o informale. Un altro elemento significativo è la carenza di reti e di sinergie fra le imprese. caporalatoUn sistema di piccole imprese fortemente integrato può sicuramente essere competitivo. L’esperienza dei distretti industriali (agroalimentari) è in fondo un’esperienza basata su piccole imprese legate da forti relazioni e organizzate in rete. La capacità di costituire reti e sinergie non è ovviamente innata, ma è frutto di investimenti in capitale umano, in conoscenza condivisa e in reti di fiducia. La pubblica Amministrazione che potrebbe e dovrebbe avere un ruolo fondamentale in ciò nel suscitare la capacità di costituire reti e sinergie, troppo spesso diventa invece un elemento di freno. Una delle maggiori cause che portano ad un abbassamento del livello di fiducia va ricondotto a comportamenti sbagliati, se non qualche volta perversi, della pubblica amministrazione, che anziché favorire lo sviluppo, si rileva invece come un fattore di freno. Dovere istituzionale e mission dell’UNSIC allora può diventare quello di esser una sorta di catalizzatore/facilitatore di processi per la creazione di reti e di sinergie d’impresa, ad esempio nel promuovere “contratti di rete” e “reti di imprese”, sostituendosi ad una pubblica amministrazione spesso incapace ed inadeguata. La costruzione dei Distretti agroindustriali, le reti di impresa, soprattutto nelle aree deboli del paese, potrebbe essere una politica che, proposta, sviluppata ed accompagnata dall’UNSIC, potrà trovare sponde operative nel Governo e nelle Regioni. Quella della creazione delle reti d’impresa e dei distretti agroindustriali è una politica fondamentale per creare un’agricoltura moderna, un’agricoltura che crea sviluppo e che partecipa in maniera attiva ai processi di affrancamento territoriale, sopperendo altresì al problema della redditività dell’impresa agricola, oggi ai minimi termini.  L’UNSIC quindi metterà in campo tutte le sue energie e le sue competenze per superare un modo tradizionale e ormai inadeguato ai tempi di fare agricoltura e costruire l’agricoltura 2.0, agricoltura che diventa sistema, fatta di reti di imprese e di distretti.

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