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Libanesi in festa per il presidente Aoun a Roma

Aoun2Aoun Il presidente libanese ParolinMichel Aoun, in carica dal 31 ottobre 2016 dopo uno stallo istituzionale di quasi due anni, ha scelto il Vaticano e l’Italia per il suo primo viaggio in Europa, rompendo una consuetudine che vedeva la Francia (dove vive la più grande comunità libanese all’estero) quale prima tappa nel vecchio continente.

“I cristiani d’Oriente, che conoscono oggi circostanze difficili in una regione una volta culla del cristianesimo e dell’islam –  ha detto Aoun arrivando a Roma, secondo quanto riportato dal quotidiano libanese L’Orient le Jour – vedono in questa visita una luce di speranza che conferma che il Libano resterà sempre l’esempio più forte del futuro dell’Oriente e del mondo”.

Giunto con un seguito di una ventina di persone (tra cui il ministro degli Esteri libanese Gebran Bassil) e accompagnato dalla consorte Nadia Al Chami, ha incontrato per diciotto minuti Papa Francesco, ricevendo in dono dal pontefice un ramoscello d’ulivo di bronzo. A seguire ha avuto un colloquio con il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin e con il ministro degli Esteri della Santa Sede, l’arcivescovo inglese Paul Richard Gallagher.

I temi dell’incontro con il Papa sono stati concordati dallo staff presidenziale, che il 15 marzo ha incontrato l’arcivescovo Giordano Caccia, nunzio apostolico in Giordania.

La sala stampa della Santa Sede riferisce che “nel corso dei cordiali colloqui ci si è soffermati sulle buone relazioni bilaterali tra la Santa Sede e il Libano, sottolineando il ruolo storico ed istituzionale della Chiesa nella vita del Paese. Si è quindi espressa soddisfazione per l’impegno delle varie forze politiche nel porre fine alla vacanza presidenziale, auspicando per il futuro una sempre più proficua collaborazione tra i membri delle diversità comunità etniche e religiose in favore del bene comune e dello sviluppo della Nazione”.

Si è fatto riferimento “alla Siria, con particolare attenzione agli sforzi internazionali per una soluzione politica al conflitto”. È stato altresì ribadito “l’apprezzamento per l’accoglienza che il Libano presta ai numerosi profughi siriani”. Infine, “si è avuto un più ampio scambio di vedute sul contesto regionale, facendo cenno agli altri conflitti in corso e alla situazione dei cristiani in Medio Oriente”.

LA NAZIONE DEGLI EQUILIBRI – Il Libano, le cui attività economiche principali sono il turismo e i servizi bancari e finanziari, presenta una realtà religiosa decisamente singolare. Questo piccolo Stato, che fu mandato francese fino agli anni Venti del Novecento, riconosce ufficialmente 18 confessioni religiose: alauiti, armeni apostolici, armeno-cattolici, assiri, caldei, cattolici di rito latino, copti, drusi, ebrei, greco-ortodossi, greco-cattolici, ismailiti, maroniti, protestanti, sciiti, siriaco-cattolici, siriaco-ortodossi, sunniti. Si tratta di una specificità storica, culturale, geografica e politica radicatasi nei secoli, un esempio di delicata convivenza pacifica che differenzia fortemente questo popolo, erede dei fenici, dai suoi vicini. Giovanni Paolo II soleva indicare il Libano come “un messaggio di pluralismo per l’Oriente e l’Occidente”.

Oggi, però, tali delicatissimi equilibri di convivialità rischiano di rompersi. Innanzitutto perché a fronte di quattro milioni e mezzo di residenti, il Paese ospita quasi due milioni di siriani e mezzo milione di palestinesi, per lo più profughi, dispersi in centinaia di piccoli e grandi campi o presso parenti e amici. Ed i conflitti all’interno di questi gruppi sono continui. I seguaci del presidente siriano Assad, tra cui i palestinesi vicini all’Olp, sono contrapposti ai giovanissimi simpatizzanti dell’Isis, con un radicalismo crescente. Proprio nelle scorse settimane si sono verificati sanguinosi scontri tra avverse fazioni palestinesi nel malsano campo di Ain el-Hilweh, alla periferia di Sidone, dove vivono 70mila palestinesi a cui si sono aggiunte seimila persone fuggite dal conflitto siriano, soprattutto dal campo di Yarmouk. Il bilancio degli scontri è stato di due morti e di diversi feriti.

Il giornalista Farouk Gandour nel 2015 ha efficacemente definito il campo di Ain al-Hilweh “la punta dell’iceberg”, raccontando che i dodici campi per i rifugiati palestinesi sono come “dodici bombe innescate sparse per tutto il Libano”.

Nel 2007, nel campo profughi di Nahr al-Bared, si verificò una vera e propria battaglia tra l’esercito libanese e gli islamisti palestinesi, con decine di morti e la distruzione del campo. L’anno precedente, i miliziani sciiti libanesi, noti come Hezbollah, attaccarono una pattuglia dell’esercito israeliano uccidendo otto soldati e catturandone due. La vendetta israeliana non si fece attendere e l’aggressione militare contro il Libano provocò centinaia di vittime civili.

C’è poi un’altra questione, rilevante: quella demografica. I cristiani, un tempo maggioranza nel Paese (56 per cento nel censimento del 1932), costituiscono oggi una minoranza. La loro natalità è nettamente inferiore rispetto a quella dei musulmani, il cui numero è costantemente crescente. Tutto ciò pone interrogativi (e timori) sul futuro dell’identità nazionale. Ma anche dell’assetto istituzionale dal momento che gli incarichi politici sono suddivisi tra le differenti confessioni religiose secondo un meccanismo di quote riservate, stabilito nel Patto nazionale del 1943 (mai formalizzato per iscritto) e che prevede un cristiano maronita come presidente della Repubblica, un sunnita come primo ministro, uno sciita come presidente del Parlamento, un maronita come comandante delle forze armate e greci-ortodossi e drusi come altri funzionari statali.

UN PRESIDENTE MEDIATORE – A fronte di questo complesso scenario, aggravato dai rapporti tra musulmani ed ebrei e tra sunniti e sciiti (gli arabi, nel mondo, sono oltre 400 milioni), il presidente cristiano Michel Aoun, 81 anni, ex generale, si sta muovendo con intelligenza e giudizio, cercando di rafforzare gli equilibri. E’ riuscito, innanzitutto, a raccogliere con il suo partito il 70 per cento dei voti cristiani, in genere frastagliati tra diverse forze politiche. Può contare sul gruppo più numeroso nel Parlamento libanese (45 seggi su 128). E soprattutto si è accordato con Hezbollah, formazione musulmana vicina all’Iran e dal potere crescente. La prima missione da presidente l’ha svolta in Arabia Saudita, uno dei Paesi più complessi e difficili del mondo arabo. Ed ora la visita in Vaticano, ben sapendo che la posizione del Paese dei cedri è strategica nella regione, in particolare con riferimento alla crisi siriana.

Va registrata, però, anche una spina nel fianco che viene proprio dal mondo cristiano. Come riferisce Fides, membri autorevoli di Chiese cristiane, presenti in Libano a fianco della preminente Chiesa maronita, si sono incontrati a Beirut e hanno congiuntamente sottoscritto un appello al presidente Aoun per avere garanzia di un’adeguata rappresentanza nelle istituzioni politiche e amministrative per le proprie comunità di fedeli. Le Chiese non appoggeranno alcuna nuova legge elettorale – questione al centro del dibattito politico libanese – che non contempli la regola di riservare almeno tre seggi a rappresentanti di comunità cristiane diverse da quella maronita.

Non è escluso che Papa Francesco possa includere il Libano come meta di uno dei prossimi viaggi. E’ lo stesso presidente Aoun a twittarlo in arabo nell’account della presidenza libanese. “Il Libano del vivere-insieme occupa un posto particolare nel cuore del Papa, che risponderà all’invito di visitare il Paese del Cedro – ha scritto il presidente.

LA COMUNITA’ LIBANESE IN ITALIA – Se in Libano vive una comunità d’origine italiana di circa cinquemila persone, in Italia vivono poco meno di quattromila libanesi (soprattutto in Lombardia e a Roma), per lo più professionisti (tanti i medici) e commercianti. A Roma e a Milano alcuni libanesi gestiscono ristoranti tipici. Non mancano nomi noti, come il cantante Mika, il giornalista Gad Lerner, l’attrice Antonella Lualdi, il judoka Bruno Carmeni (primo italiano in questa disciplina a partecipare alle olimpiadi negli anni Sessanta), diversi diplomatici e personaggi del mondo dello spettacolo. Uno dei principali punti di riferimento è la parrocchia maronita di Roma dove il presidente Aoun ha rivenuto il suo bagno di folla, accolto, tra gli altri, da monsignor François Eid, Procuratore Patriarcale Maronita a Roma, dal corepiscopo monsignor Tony Gebran, responsabile della Comunità Maronita, da don Farid Saab, direttore della corale della Parrocchia Maronita di Roma, dai cardinali Dominique Mamberti, George Pell, Leonardo Sandri, Jean-Luis Tauran, dal generale Claudio Graziano (Capo di Stato Maggiore della Difesa), dal Vescovo Copto Ortodosso monsignor Barnaba El Soryani, dai procuratori generali dei Patriarchi delle Chiese Orientali Cattoliche a Roma, padre Archimandrita Mtanios Haddad e monsignor Nareg Naamoyan e dai procuratori generali degli Ordini Religiosi Maroniti a Roma, padri Maged Maroun, Miled Tarabay ed Elias Zakhia.
Erano presenti rappresentanze diplomatiche dei seguenti Paesi: Angola, Argentina, Armenia, Australia, Belgio, Brasile, Cile, Corea del Sud, Egitto, Georgia, Giordania, Grecia, Gran Bretagna, Iran, Iraq, Italia, Lega degli Stati Arabi, Libia, Marocco, Palestina, Paesi Bassi, Paraguay, Portogallo, Principato di Monaco, Romania, Russia, Senegal, Serbia, Stati Uniti d’America,  Turchia, tra cui  ben 18 ambasciatori e tre incaricati d’affari.
Centinaia di libanesi, provenienti anche da fuori Roma, non hanno voluto far mancare la propria vicinanza al loro presidente della Repubblica.

(Giampiero Castellotti)

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