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Risparmio, cos’è “Mifid 2”

Domenico MamoneE’ entrata in vigore in questo nuovo anno nei 31 Paesi dell’area economica comunitaria, cioè nei 28 Paesi dell’Unione europea più Islanda, Liechtenstein e Norvegia, la normativa cosiddetta “Mifid 2” (Markets in financial instruments directive), riguardante la tutela del risparmio gestito. Salvo qualche ritardo, ad esempio nel Regno Unito e in Germania, è già operativa.

La nuova direttiva mira ad essere perlomeno più efficiente della precedente “Mifid 1”, operativa da novembre 2007, che purtroppo non è riuscita ad impedire ingenti perdite del proprio patrimonio a molti risparmiatori. Va detto, però che la prima direttiva ha riguardato unicamente i mercati azionari ed ha regolato, inconsapevolmente, proprio il decennio della peggiore crisi economica del dopoguerra. Di certo in questo periodo sono emerse le gravi lacune del sistema a garanzia degli investitori. Com’è avvenuto anche in Italia.

La “Mifid 2”, almeno sulla carta, definisce più chiaramente i requisiti necessari alle imprese di investimento per operare nei mercati, mirando ad una loro maggiore responsabilizzazione, ed impone obblighi di trasparenza a chi gestisce il denaro e opera negoziazioni.

La direttiva prevede il collocamento di prodotti finanziari di vario tipo (fondi, bond strutturati, polizze, ecc.). Ma prima di essere commercializzati e quindi sottoposti alla clientela, prescrive una loro approvazione da parte di coloro che li introducono nei mercati. Importante è anche il capitolo della chiarezza assoluta sui costi: ad esempio, le informazioni di tutte le voci di costo devono essere raccolte in forma aggregata per assicurare una comprensione del totale economico dell’operazione e il suo impatto sul rendimento atteso, così come vanno ben specificati quelli di ricerca, che finora si confondevano con quelli di negoziazione. Pertanto la “Mifid 2”, su questo fronte, estende gli obblighi di comunicazione alla clientela su costi e oneri relativi ai servizi di investimento. E nel contempo vengono rafforzati i poteri di controllo delle autorità di vigilanza.

Altre misure mirano a ridurre il rischio che eventuali prodotti non siano adeguati al cliente finale: cioè, mentre finora le banche o le società finanziarie erano tenute ad acquisire informazioni sulle conoscenze del cliente, ora devono definire quali strumenti finanziari sono a lui più adeguati. L’investitore dovrà essere sottoposto ad una “valutazione di adeguatezza”, verificando le sue conoscenze e rendicontando eventuali esperienze sul servizio richiesto. Insomma, facendo un’analogia con il mondo farmaceutico, la banca dovrà presentare una sorta di “bugiardino” scritto.

Novità per il ruolo del consulente che propone l’investimento: la direttiva richiede che sia adeguatamente formato e dovrà sempre qualificarsi come “indipendente” o “non indipendente”, illustrando la gamma dei prodotti sui quali presta consulenza.

La conoscenza delle tutele offerte dalla regolamentazione Mifid risulta ancora bassa.

Se è vero che nel nostro Paese i due terzi dei risparmiatori – dati Ascosim – nel decidere i propri investimenti si affida o ai consigli di parenti ed amici (nella maggior parte dei casi) o lo fanno in totale autonomia, è altrettanto vero che i più non conoscono ancora la direttiva “Mifid 1”, a distanza di undici anni dalla sua introduzione, figuriamoci quindi l’importante novità partita quest’anno. Come sindacato il dovere d’informare è quindi strategico anche in tal senso.

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