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“Il Paese a sei zampe”: questione energetica e punto di vista dei territori

Grazie ad analisi, infografiche e casi studio, il report “Il paese a sei zampe” ripercorre le implicazioni in Italia dell’espansione della frontiera estrattiva e l’insorgere di contestabili progetti di riconversione di vecchi impianti dell’industria fossile/chimica, guardando al principale attore nel paese, l’Eni, Ente nazionale idrocarburi e alle sue attività estrattive, termoelettriche, petrolchimiche e di raffinazione.

Il nuovo report del Centro documentazione conflitti ambientali, oltre a offrire una panoramica nazionale, si sofferma su alcuni casi emblematici di attività contaminante nel paese: le estrazioni in Val D’Agri, la raffineria di Taranto, la riconversione dell’impianto petrolchimico di Gela e il progetto di estrazione offshore ibleo di Licata, le cui criticità socio-ambientali sono state presentate all’impresa in occasione dell’assemblea degli azionisti Eni lo scorso maggio.

Il Centro documentazione conflitti ambientali partecipa in qualità di azionista critico alle assemblee degli azionisti Eni. Nell’ultima è stata ribadita l’importanza dell’azionariato critico, strumento strategico per porre, di fronte ai vertici dell’impresa, agli analisti e alla stampa, questioni e specifici quesiti riguardanti le politiche industriali e le condotte di Eni nei luoghi di estrazione e trasformazione. Durante l’assemblea 2019, gli interventi di azionisti critici hanno rappresentato più della metà di quelli iscritti nella fase di discussione assembleare.

“Mobilitarsi, documentarsi, denunciare. Lavorare alla sensibilizzazione sui territori. Presentare osservazioni e ricorsi. Sono tutti strumenti di incidenza che le realtà locali mettono in atto nei conflitti ambientali. L’azionariato critico può essere uno strumento ulteriore di pressione e denuncia. Aprire spazi di confronto e facilitare la partecipazione dei comitati territoriali affinché le loro istanze siano rappresentate è per noi la maniera di accorciare le distanze tra chi decide e chi subisce le decisioni – spiega Maura Peca, ricercatrice Cdca.

Tra i punti specifici:

DECARBONIZZAZIONE – Per quanto riguarda le politiche di decarbonizzazione, il Cdca ha sottolineato durante l’intervento la contraddizione evidente e profonda tra l’immagine green, cui si ascrive il dichiarato impegno sul fronte della decarbonizzazione e dell’economia circolare su cui Eni sta investendo massicciamente, e i piani aziendali che prevedono nella sostanza un progressivo aumento dell’estrazione di oil&gas nei prossimi anni. Nel fact book 2017 Eni afferma infatti di aver raggiunto il record storico di estrazione di 1,82 milioni di boe/giorno, con un 3,2 per cento in più rispetto all’anno precedente. Ancora, nel piano strategico 2019-2022 la produzione di idrocarburi attesa è in crescita di un ulteriore 3,5 per cento all’anno, grazie anche “alla grande quantità di nuovi permessi in bacini ad alto potenziale” attraverso cui si punta a realizzare “2,5 miliardi di barili di nuove risorse perforando 140 pozzi esplorativi nei quattro anni”. Ciò premesso, il Cdca ha rilevato come risulti retorico e poco credibile affermare, come fa Eni, che “la decarbonizzazione è strutturalmente presente in tutta la strategia aziendale ed è parte preponderante delle ambizioni per il futuro”. L’azienda è infatti a tutt’oggi al 30° posto tra le società produttrici di combustibili fossili che emettono più Co2 a livello globale (secondo l’autorevole Carbon Majors Report) ed è da sola responsabile dello 0,6 per cento del totale delle emissioni industriali climalteranti rilasciate in atmosfera a livello globale tra il 1988 e il 2015. Alla luce di queste considerazioni, il piano strategico presentato per il quadriennio 2019-2022 risulta in evidente e piena contraddizione con le raccomandazioni della comunità scientifica e con ogni efficace azione di decarbonizzazione e di contrasto ai cambiamenti climatici. É chiaro che la crisi climatica in corso non sarà affrontata né risolta attraverso politiche basate sull’aumento della quantità di petrolio e gas estratti e la moltiplicazione degli sforzi per compensare questo aumento.

ESTRAZIONE PETROLIFERA IN VAL D’AGRI – Grande attenzione è stata dedicata, anche durante la relazione introduttiva dell’Ad De Scalzi, al polo estrattivo Val D’Agri, oggetto di una operazione di marketing che intende raccontare le operazioni Eni in loco come una decisa svolta verde. É stato infatti presentato il progetto “Energy Valley”, attraverso il quale si prevede di realizzare un “modello di business integrato” che include investimenti in rinnovabili, progetti di gestione dell’acqua – fonte di preoccupazione e di reiterate denunce da parte della popolazione – un centro di sperimentazione agraria e di formazione e un progetto per la coltivazione di piante officinali. Resta fermo che il polo lucano, ben lungi dall’essere un esempio di eccellenza per le politiche di sostenibilità, è essenzialmente un polo petrolifero dall’enorme impatto ambientale, sanitario e sociale sul territorio e che l’operazione “Energy Valley” risulta – ancor più dopo le recenti inchieste giudiziarie – un tentativo debole di rilanciarne l’immagine ormai compromessa dalle indagini, dallo sversamento del 2017 e dai continui eventi anomali che interessano l’impianto. L’intervento in assemblea della rappresentante dell’Osservatorio Popolare Val D’Agri ha inoltre denunciato l’atteggiamento evasivo e poco rispettoso dell’azienda verso le istanze di tutela portate avanti dal territorio.

RICONVERSIONE RAFFINERIA DI GELA – In riferimento all’attesa riconversione della raffineria di Gela, in Sicilia, chiusa nel 2014, Eni ha confermato un sostanziale ridimensionamento del polo produttivo e l’avvio di una serie di progetti pilota. Non è ad oggi dato conoscere in dettaglio il destino degli impianti dismessi e dei terreni inutilizzati, né le politiche occupazionali previste per i prossimi anni. È stato confermato che l’olio di palma attualmente immagazzinato per essere utilizzato nella green refinery di Gela è di origine indonesiana. Nonostante le rassicurazioni circa i criteri di compatibilità ambientale adottati da Eni nell’approvvigionamento di tale materia prima e la dichiarazione per cui la raffineria sarà a emissioni zero, resta la forte perplessità relativa alla reale sostenibilità di un processo che prevede il trattamento a Gela di biocombustibile proveniente da un Paese situato a 15.000 chilometri di distanza, peraltro devastato dalle colture intensive di olio di palma, con tutti i relativi costi ambientali. Unica ulteriore informazione di rilievo fornita dopo l’intervento del rappresentante proveniente dal territorio ha riguardato il timing dell’avvio dell’impianto la cui entrata in funzione è stata annunciata dall’Ad entro giugno.

PROGETTO OFFSHORE IBLEO – Per quanto concerne il progetto Off Shore Ibleo, le risposte ai quesiti posti in collaborazione con il comitato No Triv Licata e all’intervento del rappresentate in assemblea hanno confermato che ad oggi l’azienda è evasiva sulla reale portata del progetto, sia in termini economici e dunque di resa industriale, sia in termini di impatto territoriale. L’unica informazione resa riguarda la destinazione del gas che sarà estratto dal progetto, che Eni ha intenzione di usare in parte per alimentare la raffineria di Gela, mentre la restante parte verrà venduta.

RAFFINERIA ENI DI TARANTO – Il comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti ha sottolineato che l’intervento in assemblea degli azionisti rappresenta un primo passo verso l’individuazione di eventuali responsabilità di Eni nel disastro ambientale e sanitario tarantino, non solo riconducibile, come spesso narrato dai media e percepito dall’opinione pubblica nazionale, all’impatto delle acciaierie Ilva. Sono stati chiesti aggiornamenti urgenti riguardo al PEE (Piano di Emergenza Esterno), fermo al 2015, e dettagli circa gli eventi anomali che interessano con frequenza l’impianto. Su questi punti non sono state fornite delucidazioni nonostante siano stati posti sia per iscritto sia oralmente durante l’intervento della rappresentante del comitato cittadino. Ulteriore elemento di incertezza per la comunità residente riguarda il destino del greggio estratto nell’ambito del progetto Tempa Rossa, operato da Total in Basilicata, e la sua eventuale lavorazione presso la Raffineria di Taranto, l’AD De Scalzi ha ammesso che il greggio proveniente da Tempa Rossa sarà lavorato a Taranto, specificando che tale elemento non comporterà un aumento dei volumi in lavorazione nell’impianto.

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