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Salvini e la politica dei colpi bassi

Per il caso Open Arms, il Senato ha dunque detto sì alla richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini. I voti a favore del processo sono stati 149, decisivi 91 senatori del M5S. I contrari sono stati 141, tutto il centrodestra compatto. Un astenuto, la senatrice Drago dei Cinquestelle.

All’epoca dei fatti, il leader della Lega si rifiutò, come ministro dell’Interno, di far attraccare ad un porto italiano l’Open Arms, uno di quei “taxi del mare”, come li chiamava allora Luigi di Maio, che fanno entrare nel nostro Paese schiere di “clandestini” ogni giorno. Azione coerente con i desiderata di quei tanti italiani che hanno assicurato al leader della Lega un terzo di tutti i consensi alle ultime elezioni europee.

“Sono orgoglioso di aver difeso l’Italia: lo rifarei e lo rifarò, anche perché solo in questo luglio gli sbarchi sono sei volte quelli dello stesso periodo di un anno fa, con la Lega al governo – ha commentato a caldo il leader della Lega.

La vicenda induce a qualche riflessione.

La prima: è inconcepibile, perlomeno per coerenza, che un partito come i Cinquestelle, in maggioranza con Salvini all’epoca dei fatti, oggi lo mandi a processo. I grillini avevano avallato collegialmente un atto politico: pertanto soltanto politicamente andrebbe giudicato.

Ben riassume Massimo Cacciari all’Adnkronos “Al di là di ogni considerazione su Salvini, per il quale non nutro certo alcuna simpatia, mi pare abbastanza indecente e incredibile che i suoi primi collaboratori al governo, a distanza di un anno, non di due guerre civili e tre rivoluzioni, lo rimandino al processo. Che si rimandassero a processo anche loro, visto che hanno condiviso tutto quello che Salvini ha fatto”. Del resto l’incoerenza sembra ormai costituire un valore indissolubile dei grillini: dai no ad ogni alleanza a quelle disinvolte sia con la destra (Fico nel 2017: “Alleanza con la Lega? Dio ci scampi”) sia con la sinistra (il Pd chiamato “Partito di Bibbiano”); dal vanto delle dirette streaming alle trattative nelle segrete stanze di Palazzo; dalle battaglie No Tav, No Ilva, No Tap fino alla loro vanificazione; dalla partita “No Euro” all’appoggio determinante per l’elezione di Ursula Von Der leyen, la candidata del duo Merkel-Macron.

Seconda considerazione: si rinnova l’antico e spesso controproducente vizio della sinistra di demonizzare l’avversario fino a tentare di abbatterlo sfruttando gli atti della magistratura. Un’attempata strategia di delegittimazione morale dell’antagonista che risale alle radici comuniste quando “ricchi”, “padroni”, “intellettuali liberi” finivano tutti nel tritacarne del disconoscimento spinto fino all’odio. Una storia navigata che ha colpito vittime illustri, da Bettino Craxi a Silvio Berlusconi, il quale non a caso ha commentato sul voto al Senato: “Giustizia usata come arma politica”. Ed oggi il refrain si ripete con Matteo Salvini. Esemplare quanto ha detto il grande Luigi Einaudi: “Quando la politica entra nella giustizia, la giustizia esce dalla finestra”.

Terza considerazione. Il voto del Senato cade in una fase non certo esaltante per il leader della Lega, formazione che – stando ai sondaggi – ha perso oltre dieci punti percentuali negli ultimi mesi, in particolare a vantaggio di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Alcuni errori, specie nella fase Covid, hanno pesato sul leader del Carroccio. Ma questo attacco personale non farà altro che rafforzare i partiti di centrodestra, specie a fronte di una situazione degli sbarchi che torna tema d’attualità per l’incapacità di gestione del fenomeno, comprese le solite orecchie da mercante dell’Unione europea sulle redistribuzioni. Salvini, insomma, vestirà i panni del martire, una “divisa” che a Berlusconi ha assicurato invidiabile longevità.

Al di là dei legittimi aspetti umani, l’invasione incontrollata di clandestini – che oggi diventa ancora più pericolosa per l’emergenza Covid e per le ricadute su un turismo già in ginocchio – ci fa venire in mente l’articolo 52 della Costituzione, che recita: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. E’ la difesa dell’“interesse nazionale”, quella che gli antichi chiamavano salus rei publicae, che Salvini rivendica. Forte anche di una volontà popolare nella stessa direzione.

Mentre, quindi, buona parte degli italiani è con Salvini, il fascicolo sulla Open Arms, dopo l’autorizzazione a procedere votata dal Senato, torna in Procura a Palermo, che aveva indagato sulla vicenda. Il procuratore Francesco Lo Voi dovrà chiedere il rinvio a giudizio del leader della Lega. Poi sarà il gup a fissare l’udienza preliminare al termine della quale i pubblici ministeri potranno chiedere il processo o il proscioglimento dell’ex ministro. E sul numero uno del Carroccio pesa anche il processo a Catania per la nave Gregoretti.

Per concludere: l’atto della magistratura, ancora una volta (come accaduto per Craxi e per Belusconi) rischia di interferire e di stravolgere gli equilibri politici. Salvini rischia anche l’incandidabilità alle prossime elezioni politiche. Ma anche una guerra di successione all’interno della Lega.

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