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Covid, intervenire nelle scuole per attenuare il numero dei contagi

Il Covid, purtroppo, ha ripreso la sua corsa ed i numeri dei contagiati sono in crescita da nove settimane.

Il cambiamento più evidente riguarda la geografia della pandemia in Italia: se prima dell’estate la Lombardia, da sola, registrava circa la metà di tutti i casi e l’infezione era concentrata quasi unicamente nel Settentrione, oggi preoccupa soprattutto l’evoluzione nel Mezzogiorno e nelle regioni centrali. Anche perché la condizione ospedaliera delle aree dove il contagio cresce non è paragonabile con quella lombarda o veneta.

Sappiamo pure, smentendo molte Cassandre, che il virus non ha perso forza e contagiosità: le notizie che provengono dal mondo del calcio ce lo confermano.

Purtroppo esistono previsioni non confortanti per l’autunno-inverno, causa anche l’apporto dell’influenza ordinaria e soprattutto il peso delle scuole, fattore del tutto assente con il lockdown di marzo-aprile.

In Francia, dove le scuole sono state aperte appena due settimane prima di noi, la Santé Publique France ha reso noto che l’apporto, in rapida crescita, degli istituti scolastici sul totale dei cluster è del 32 per cento, con 285 focolai sugli 899 totali (195 vengono dal mondo del lavoro). E’ un dato emblematico.

Da noi, dove finora manca un censimento ufficiale dei casi nelle scuole (il ministero ha iniziato a farlo solo ora), un dato significativo è quello che ha diffuso l’assessore della Regione Lazio, Alessio D’Amato: 336 contagiati in 296 plessi scolastici. Se grossolanamente proiettassimo questo dato a livello nazionale, saremmo a non meno di tremila casi.

Il nodo per questa seconda ondata, anche a fronte dell’esperienza maturata in primavera, è il difficile equilibrio tra salvaguardia della salute pubblica e tutela dell’economia e del lavoro. Anche nei singoli settori economici s’impongono scelte di priorità: aver tenuto aperte le discoteche la scorsa estate per garantire ossigeno al settore, ad esempio, è stato deleterio per il bilancio dell’infezione. Analogamente l’apertura degli stadi ad un numero più elevato di persone sarebbe oggettivamente un rischio.

Dal momento che un nuovo lockdown sarebbe deleterio per tutti, riteniamo basilare – come abbiamo già profeticamente scritto su queste pagine – adottare misure che limitino la pandemia non incidendo sulle ordinarie attività economiche e sociali. Bene, quindi, il rafforzamento delle misure individuali di protezione, i provvedimenti per la riduzione della movida, l’intensificare i controlli e simili interventi.

Tuttavia le scuole rimangono il nervo scoperto di questa fase. Anche perché, con quasi dieci milioni di persone coinvolte – tra studenti, docenti e personale ausiliario – interessano, da sole, un sesto di tutta la popolazione italiana. Incidendo anche sulla mobilità, altro enorme problema irrisolto.

Sarebbe stato opportuno, anziché investire ingenti risorse pubbliche sui banchetti o sulle mascherine (quest’ultime presenti in tutte le case), consolidare ciò che il progresso c’ha donato: le nuove tecnologie. Soprattutto nelle scuole superiori, rendere efficiente la didattica a distanza – strumento ormai universale, in linea con i tempi e affascinante nella sua multimedialità – limiterebbe di molto le presenze fisiche a scuola, mentre dovrebbero essere garantite in presenza le interrogazioni per evitare facili copiature.

Nel contempo lo smart working resta la migliore soluzione per questi difficili mesi che c’attendono: è vero che riduce gli incassi per il bar o il ristorante sotto l’ufficio, ma meglio stringere la cinta per qualche mese anziché dover chiudere di nuovo tutto per una condizione generale diventata insostenibile.

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