
Si sono domandati principalmente quale connessione esistesse tra il dramma di Gaza e lo spadroneggiare di Netanyahu nel Medio Oriente con la paralisi totale di decine e decine di città in tutta Italia. A migliaia di automobilisti fermi per ore nel traffico per blocchi di strade (come la tangenziale a Roma), ridotti ad azionare compulsivamente un clacson, è stato impedito di ottemperare ad impegni di ogni tipo, di recuperare per tempo i figli piccoli nelle scuole o di effettuare la visita medica programmata da mesi. Altre migliaia di passeggeri di autobus, tram, metro e taxi inutilizzabili hanno visto la lesione dei propri diritti, ad iniziare da quello della mobilità. Molti commercianti dovranno aprire il proprio portafoglio per riparare vetrine e saracinesche. Ripulire facciate e portoni ha costi per tutti. E il già magro bilancio dei comuni sarà alleggerito ulteriormente dal prezzo dei vandalismi sull’arredo urbano.
La domanda centrale che si ripropone da tempo è la solita: può una sparuta minoranza paralizzare un intero Paese, che significa poi attentare ai diritti di ognuno? Perché le ragioni ideologiche – o per più di qualcuno pseudo-ideologiche – di qualche migliaio di persone radunate nelle strade ora contro la Tav, ora contro i cambiamenti climatici, ora per la Palestina, cause condivisibili o meno, nelle modalità più estreme (“blocchiamo tutto”, in alcuni casi “sfasciamo tutto”) limitano il bene più prezioso, cioè la libertà per la schiacciante maggioranza dei cittadini.
Ovviamente il diritto a manifestare pacificamente e nel rispetto del prossimo è sacrosanto. Ma farlo in questo modo, contemporaneamente nel cuore di così tante città, con l’intenzione di bloccare strade, autostrade, stazioni ferroviarie e porti, seppur da parte di minoranze, è ormai inconcepibile. Chi organizza, come avveniva nelle manifestazioni sindacali di qualche decennio fa, deve garantire servizi d’ordine interni all’altezza e la prevenzione della violenza.
Da anni si rinnovano le stesse discussioni di fronte a queste scene di paralisi totale, che include anche la guerriglia urbana (stavolta è toccato a Milano, con 60 agenti feriti, a cui va la nostra solidarietà). Sembra quasi che il livello di sensibilità verso un tema sia equivalente al caos sociale provocato, che include, appunto, i soliti danni materiali e immateriali. Ha detto bene Domenico Pianese, segretario del sindacato di polizia Coisp: “Questa non è libertà di manifestare, ma squadrismo travestito da attivismo”.
Abbiamo vissuto il periodo tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta: la violenza e la strumentalizzazione di pochi ha lasciato sui selciati migliaia di vittime. Non deve assolutamente ripetersi quella sanguinaria stagione. Ma c’è qualcuno, evidentemente, che ne ha nostalgia.
Eppure la violenza politica – dovrebbe essere chiaro a tutti – determina quasi sempre l’arroccamento del potere: lo sanno bene coloro che hanno alimentato per decenni la “strategia della tensione”. E paradossalmente quelle stagioni, alla lunga, hanno prodotto l’effetto contrario rispetto a quello auspicato dai fomentatori: c’è stata una diffusa voglia di nuovo ordine e di disimpegno, con le estreme destre costantemente crescenti e i consumi diventati le nuove icone al posto delle ideologie e della religione.
Non saranno certo le vetrine rotte o le stazioni ferroviarie danneggiate a cambiare il corso degli eventi. Anzi, la reazione di quegli automobilisti penalizzati dagli squadristi del disordine, favorirà proprio i poteri costituiti. E a Gaza si continuerà, purtroppo, a morire nell’isolamento più assoluto.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
