
Chiamatela pure tregua, certamente vaga e infarcita di retorica, anziché solida pace, differenza non marginale tra la sospensione e la fine del conflitto (però il massimo da ottenere è sempre antitetico rispetto al bene assoluto); intravedete con realismo le mire edilizie speculative statunitensi, arabe ed europee su quella bella area che s’affaccia sul nostro mare Mediterraneo, perché tra i businessman e i missionari la differenza è lampante; storcete anche il naso per il ruolo primario del redivivo Tony Blair, il premier britannico che prese la decisione di invadere l’Iraq basandosi solo su convinzioni personali, come ha stabilito la commissione Chilcot; prevedete altri morti, tanti morti, perché non basta una firma per fermare un odio che tanti decenni hanno radicato nei due popoli. Tutto giusto.
Tuttavia, tenendo presente che soltanto pochi giorni fa si contavano decine di morti palestinesi al giorno per bombe e per fame, venti ostaggi israeliani ancora vivi erano da oltre due anni nelle mani di Hamas e migliaia di palestinesi erano rinchiusi nelle prigioni israeliane non sempre dopo processi equi, gli aiuti umanitari non raggiungevano la popolazione affamata (sperando che finalmente ora riescano ad entrare a Gaza) e tutto il mondo era in fermento con milioni di manifestanti per chiedere ai governi di fermare la mattanza, quanto è avvenuto a Sharm el-Sheikh ha del miracoloso. “Una scintilla di speranza”, come l’ha giustamente definita il Papa.
L’ideologia dei settarismi, una volta tanto, mettiamola quindi da parte. Insieme al tormentante pessimismo, ai distinguo infarciti di bella prosa, alle stimolanti polemiche, alle immancabili provocazioni, alle strumentalizzazioni delle piazze. L’orrore generato alla latitudine del Medio Oriente deve essere definitivamente rubricato – pur con tutti i compromessi possibili – ad agghiacciante ricordo. E pertanto lasciare il posto alla ripresa della vita civile, alla riapertura di scuole e uffici, al ripristino di servizi, alla ripresa del commercio. Pur con tutte le complessità – eufemismo per non dire enormi difficoltà e rospi da ingoiare – a cui andremo incontro, a cominciare dalla illusoria sparizione delle armi di Hamas, al ritiro israeliano e al difficile ruolo della forza internazionale di stabilizzazione.
L’abbiamo sostenuto sin dall’inizio di questa mattanza che la difficilissima soluzione – o perlomeno un palliativo – sarebbe potuta scaturire soltanto dalla diplomazia. Ora tocca alla politica e alla responsabilità di tutti gli attori coinvolti nella tregua. E che finalmente si lavori per lo Stato palestinese con una leadership credibile, soluzione che potrebbe fare il bene anche di Israele perché un ordine statuale è certamente migliore dell’anarchia e della sola legge del più forte dominante a Gaza.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
