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Manovra, assurdo limitare la compensazione dei crediti d’imposta

L’articolo 26 della bozza della Legge di Bilancio 2026 prevede che dal 1° luglio 2026 non sarà più possibile la compensazione dei crediti d’imposta – generati dal piano Transizione 4.0 e 5.0 – con i contributi Inps. Contestualmente, la soglia di verifica dei debiti fiscali per l’accesso alla compensazione verrebbe ridotta da 100mila a 50mila euro.

Tale decisione rischia di assestare un duro colpo alle imprese, specie in questa congiuntura resa estremamente difficile dai conflitti bellici in corso, dai dazi, dall’imprevedibilità dell’automazione avanzata – pensiamo ai rilevanti tagli al personale che stanno effettuando le multinazionali, in genere le prime a fiutare le tendenze del mercato – ma anche dall’inverno demografico che rischia di accentuare il fenomeno dello skill mismatch, cioè il divario tra le competenze offerte da un numero sempre minore di lavoratori e quelle richieste dalle aziende. È in gioco, in sostanza, la sostenibilità economica di tante imprese in molteplici settori produttivi.

Nel dettaglio, a pagare potrebbero essere, in particolare, quegli imprenditori che hanno effettuato investimenti, ad esempio in macchinari, certi di poter beneficiare di compensazioni che con la Legge di Bilancio rischiano dall’oggi al domani di scomparire. Il provvedimento va anche ad accentuare quell’atavico problema, tutto italiano, dell’indeterminatezza normativa nel tempo, in questo caso un proficuo provvedimento che non verrebbe prolungato dopo il 30 giugno 2026.

Come noto, infatti, il credito d’imposta consiste in un’agevolazione riservata alle imprese che effettuano investimenti in nuovi beni strumentali destinati alle strutture produttive. È riconosciuta per gli investimenti effettuati fino al 31 dicembre 2025, ovvero fino al 30 giugno 2026, a condizione che entro il 31 dicembre 2025 il relativo ordine sia stato accettato dal venditore e siano stati pagati acconti per almeno il 20% del costo di acquisizione. Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione tramite il modello F24.

A partire dal 1° luglio 2026, la compensazione sarà consentita soltanto per i crediti d’imposta emergenti dalle dichiarazioni annuali, escludendo quindi i crediti maturati a seguito dell’acquisizione dei bonus edilizi e di altri incentivi.

Ricordiamo che alcuni nuovi beni materiali, strumentali all’esercizio d’impresa, sono esclusi. Tra questi, i veicoli e altri mezzi di trasporto a motore (art. 164, comma 1, Tuir), i beni per i quali il decreto ministeriale del 31 dicembre 1988 stabilisce coefficienti di ammortamento ai fini fiscali inferiori al 6,5%, i fabbricati e le costruzioni e altri beni più specifici, come le condutture usate dalle industrie di imbottigliamento di acque minerali naturali o dagli stabilimenti balneari e termali, o dalle industrie di produzione e distribuzione di gas naturale, il materiale rotabile, ferroviario e tramviario, gli aerei completi di equipaggiamento, ecc.

Se dovesse essere confermato l’articolo 26 attualmente inserito nella bozza della Legge di Bilancio 2026 ad essere penalizzati sarebbero in tanti. Ad esempio, coloro che hanno crediti maturati nelle Zone Economiche Speciali, negli investimenti in ricerca e innovazione e nella Transizione 5.0, che subirebbero l’effetto retroattivo su quegli incentivi che lo Stato aveva promesso, andando a compromettere la fiducia degli investitori e la credibilità delle politiche di sviluppo nel Mezzogiorno.

Ma sarebbe penalizzato anche chi non potrà utilizzare in compensazione, tramite modello F24, crediti d’imposta per contributi previdenziali e premi assicurativi, cuore del provvedimento.

E ancora quei tanti giovani che hanno rilevato aziende familiari con la necessità di ammodernarle per renderle più competitive anche sui mercati internazionali, puntando su innovazione e internazionalizzazione.

Si pensi anche ai settori dell’edilizia e dell’impiantistica, già penalizzati dalla scomparsa di tanti bonus e dai rincari, dalla difficoltà di accesso al credito e dalla fragilità normativa, settori vitali soprattutto nel Mezzogiorno: quante imprese hanno “cassetti fiscali” pieni di crediti maturati, in particolare per l’applicazione dello sconto in fattura, e stanno legittimamente utilizzando i crediti fiscali per compensare i propri debiti contributivi per lo più conseguenti alla fase rosea del Superbonus e degli altri bonus edilizi?

Non sarebbe messa meglio l’agricoltura, altra risorsa fondamentale per il nostro Sud. È vero che nella Legge di Bilancio ci sono il nuovo credito d’imposta per investimenti in beni strumentali per il settore (art. 96), le proroghe fiscali, l’esenzione dal pagamento dell’Irpef agricola, come l’accisa sul gasolio per le attività nei campi, ma occorre considerare le crescenti spese d’esercizio, come un carico burocratico sempre esagerato.

Insomma, il provvedimento, se attuato, rappresenterà certamente un forte freno alla crescita dell’intero tessuto imprenditoriale e delle ormai indispensabili tecnologie, andando a comprimere principalmente la liquidità e gli investimenti soprattutto in quei territori e in quei comparti che ne hanno più bisogno. Non dimentichiamo che la produttività industriale è accompagnata con il segno meno da anni. E queste misure, ne sono tutti convinti, penalizzeranno proprio quelle imprese che servono nel modo migliore il Paese.

Come Unsic non faremo mancare, nei tavoli istituzionali, la nostra contrarietà a questo provvedimento che va a compromettere la pianificazione finanziaria di migliaia di imprese, con il pericolo di omissioni nei versamenti contributivi e riduzione del personale. Auspichiamo, pertanto, un intervento in sede di approvazione del disegno di legge, mantenendo invariata la disciplina vigente.

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