Il nostro Mezzogiorno non può essere considerato sempre “un mondo a sé”, lasciato ai suoi atavici mali, in primis la mancanza di infrastrutture e di servizi in linea con il resto del Paese. O, tutt’al più, destinatario di provvedimenti-tampone per alleviarne gli irrisolti problemi. Preda di una rassegnazione ancestrale, atteggiamento sterile che si sovrappone inutilmente alle criticità strutturali.
Ormai il nostro Sud va considerato in un’ottica estesa che faccia propri i grandi temi che caratterizzano buona parte del pianeta, spesso intersecati tra loro: la globalizzazione sempre più spinta, nonostante le turbolenze causate dai protezionismi e dai dazi; il mutamento tecnologico che spalanca dall’oggi al domani scenari imprevisti e imprevedibili; gli squilibri demografici tra continenti, con la crisi delle nascite che attanaglia gran parte dei territori del mondo occidentale e che concorre alle spinte migratorie principalmente da Asia, Africa e Sud America (ma anche, purtroppo, dal nostro Mezzogiorno).
Pur tra le tante ristrettezze economiche e nella sua parzialità, la Manovra ha il merito di avere una visione sistemica dello sviluppo del Sud. Prevedendo, ad esempio, il rifinanziamento triennale con 2,3 miliardi per il 2026 della Zes unica, la Zona economica speciale, autorizzazione unica che semplifica le procedure amministrative e il credito d’imposta rendendo più attrattivi gli investimenti. Provvedimento che va difeso con i denti. Come ricorda Luigi Sbarra, sottosegretario con delega al Sud, ad oggi sono stati rilasciati oltre 860 provvedimenti di autorizzazione unica, generando investimenti per 4,9 miliardi e oltre 15.500 posti di lavoro.
A ciò si aggiunge il rinnovo della “Nuova Sabatini”, fondi per la ex Transizione 5.0 (pur con qualche non trascurabile criticità evidenziata su queste pagine), sostegno ai contratti di sviluppo e incentivi per l’occupazione di giovani e donne, qualche buon provvedimento per il mondo agricolo. E non vanno dimenticati i fondi del Pnrr, in maggioranza diretti proprio alle regioni meridionali: derivano anche dai contributi europei i discreti risultati in termini di crescita economica e gli ottimi dati sull’occupazione e sul tasso di disoccupazione in progressivo e costante calo, dopo anni di drammi collettivi sul fronte del lavoro.
Il turismo in crescita, potenzialità infinita per il nostro Mezzogiorno, è un ulteriore segnale di speranza. Così come una certa inversione di tendenza sui fondi di Coesione, che grazie alla migliore programmazione e attuazione vengono oggi intercettati meglio rispetto al passato, quando andavamo molto spesso incontro alle procedure di disimpegno automatico.
Certo, ovviamente tutto ciò non basta. C’è bisogno di spingere molto sugli investimenti, sulla competitività, sull’innovazione, sulla formazione e sulla valorizzazione del capitale umano. Termini di uso frequente che, nel Sud, non debbono rimanere parole vuote.
Per favorire lo sviluppo, però, il tema delle infrastrutture è fondamentale. Innanzitutto di quelle viarie e ferroviarie. Al di là delle contrapposizioni ideologiche, che possono soltanto intaccare la coesione necessaria per le scelte strategiche, come Unsic riteniamo basilare sia la realizzazione del Ponte sullo Stretto sia il potenziamento della rete viaria in Calabria e in Sicilia, affinché il nostro Mezzogiorno possa inserirsi pienamente nei flussi produttivi e culturali europei e le nostre aziende meridionali siano facilitate nelle ambizioni di internazionalizzazione. Ben vengano gli approfondimenti e anche alcuni rilievi, se necessari, ma i “no” preconcetti non fanno altro che confermare gli espatri di quei tanti giovani che trovano solo altrove la strada per la propria realizzazione professionale.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
