
Il presidente brasiliano Lula da Silva ha annunciato nelle ultime ore che l’accordo di libero scambio tra Mercosur (Mercato comune del Sud, istituito nel 1991, tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay per 270 milioni di abitanti) e Unione europea sarà firmato il 20 dicembre. L’accordo, come ha ricordato lo stesso presidente, coinvolge 722 milioni di abitanti e 22 trilioni di dollari di prodotto interno lordo (25% del Pil mondiale). I negoziati si sono conclusi dopo circa 25 anni dall’inizio delle prime trattative.
L’Unione europea è il secondo partner del Mercosur per quanto riguarda gli scambi di beni, che rappresentano quasi il 17% degli scambi totali del Mercosur per un valore commerciale di 111 miliardi di euro nel 2024 (55,2 miliardi di esportazioni e 56 miliardi di importazioni), con la parte del leone fatta dal Brasile, con oltre l’80% del flusso commerciale. Tra il 2014 e il 2024 gli scambi di beni Ue-Mercosur sono cresciuti di oltre il 36%: le importazioni sono aumentate di più del 50% e le esportazioni del 25%.
Se l’Europa esporta principalmente macchinari, mezzi di trasporto, prodotti chimici e farmaceutici, il Mercosur esporta da noi principalmente prodotti agricoli e minerali, oltre alla carta.
Uno degli obiettivi dell’accordo Ue-Mercosur – come ricorda la stessa Unione europea – “è creare norme più stabili e prevedibili per il commercio e gli investimenti, attraverso regole migliori e più rigorose, ad esempio nel settore dei diritti di proprietà intellettuale (comprese le indicazioni geografiche), delle norme in materia di sicurezza alimentare, della concorrenza e delle buone pratiche normative”.
Tutto bene, quindi, nell’ottica dell’apertura dei mercati e del libero scambio? Non proprio. Proprio perché la maggior parte delle importazioni riguarda l’agricoltura, è concreto il rischio che questo accordo comporti pesanti conseguenze in particolare per l’Italia e per la sua filiera agroalimentare di eccellenza. Se è vero che tra le intenzioni dell’intesa c’è la lotta al cambiamento climatico, diversificando ad esempio le fonti energetiche, ma anche il consolidamento dei legami politici ed economici fra le due aree (e di questi tempi non è poco), è altrettanto vero che l’accordo, in sostanza, favorirà l’arrivo in Europa di una sterminata mole di prodotti dell’agricoltura e della zootecnia sudamericana, a dazi zero, che andranno a fare una concorrenza spietata, specie nei supermercati, alle produzioni nazionali. È noto, infatti, molti prodotti provenienti dal Sud America sono ottenuti con standard produttivi meno rigorosi, alcuni attraverso l’impiego di prodotti fitosanitari vietati nel Vecchio continente e quindi più economici.
Non si tratta, ovviamente, di un pregiudizio sovranista, ma sappiamo che i controlli alimentari nel nostro Paese sono molto più rigorosi di quelli effettuati in gran parte del Sud America, dove ad esempio l’uso di pesticidi è molto diffuso, e che la stragrande maggioranza delle loro produzioni penetra in Europa attraverso lo scalo olandese di Rotterdam, dove i controlli sono spesso inadeguati. E manca, tra l’altro, il principio di reciprocità, per cui la concorrenza è sleale.
Il problema è anche politico: benché numerosa, la nostra rappresentanza politica a Bruxelles è spesso sterile nel confronto con i colossi del Centro e del Nord Europa, specie sul fronte agricolo. Per cui le nostre produzioni di qualità non sempre possono godere della necessaria tutela.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
