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Corridonia (Macerata), la cultura è servita

Abbazia_di_San_ClaudioCorridonia (Macerata) vanta legami di continuità con la città romana di “Pausulae” e con “Mons Ulmi”, borgo medievale.

Dell’antica Pausula, città picena, è cenno nel libro De Coloniis di Frontino.

Il suo territorio, sito nella valle del Chienti, presumibilmente ove sorge oggi S. Claudio, nell’anno 713 di Roma venne assegnato dai Triunviri Ottaviano, Lepido e Marco Antonio, ai propri veterani reduci dalla guerra contro Bruto e Cassio, divenendo in tal modo una Colonia Romana.

Dopo i tempi di Teodosio è cenno di Pausula negli atti del concilio Romano tenuto dal Pontefice Ilario nel 465 dell’era volgare e al quale prese parte Claudius Episcopus Pasulanus. Distrutta in seguito all’invasione dei Goti o dei Longobardi (nel V o VI sec.) fu ricostruita dai superstiti e denominata Castrum Pausuli – Castello di Pausula – di cui si trova cenno in pergamene dal 995 al 1229; dopo tale data, non si trova più alcuna notizia del nome di una città, che aveva dominato nella valle del Chienti come colonia romana e come sede di Diocesi.

Leggeri indizi, tali da far supporre la continuità della vita dell’antica Pausula nel nuovo centro di Montolmo, si trovano nella storia di quest’ultimo. Ad esempio, nel 1256, era sindaco di Montolmo un certo Buonaventura da Pausula, che doveva essere un luogo o castello incorporato nel territorio di Montolmo il cui statuto vietava, nell’epoca, la nomina di persone straniere alle alte cariche cittadine. Fino al 1303 si ha notizie che una delle porte di Montolmo si denominasse “di Possole” che, secondo L. Lanzi, deve intendersi come uno storpiamento di Pausula.

Mons Ulmi, di cui si trovano i primi accenni nelle pergamene del 1115, dovrebbe il suo nome ad un olmo piantato dai Monaci di S. Croce nei pressi della Chiesa di S. Maria in Castello, da loro costruita intorno al 1000. Attorno a tale Chiesa e Castello vennero raggruppandosi le famiglie sparse nel territorio e si formò un borgo denominatosi Monte dell’Olmo.

Rapidamente per i numerosi privilegi accordati dai Pontefici, per la fedeltà della popolazione e per il trasferimento di ricche famiglie, quali gli Ugolini ed i Nobili, dai vicini castelli di Mogliano, Petriolo, Colbuccaro, il paese divenne “considerabile” in popolazione, averi e fortificazioni. Fu scelta per decenni come sede della Curia Generale della Marca e per tre volte, nel 1306 – 1307 – 1317, come sede del Parlamento dei Comuni della Marca stessa. Il suggello della Comunitas Montis Ulmi, rappresentava nel suo scudo un olmo sopra sei colli e, in luogo della corana, lo sormontavano le chiavi pontificie.

All’apice della sua fortuna, nel 1433, schieratosi dalla parte della Chiesa, osò opporsi con tutto il suo vigore a Francesco Sforza, il quale calò verso il Chienti all’espugnazione di Monte dell’Olmo e restò, misero avanzo dell’esercito vincitore, esposta al saccheggio e alla crudeltà dei soldati. Fu l’unico paese della Provincia Pontificia che sostenne con il sangue le ragioni della Santa Sede.

Francesco Sforza ne fece una piazza d’armi e nelle sue vicinanze sconfisse l’esercito della Chiesa facendo prigioniero il figlio del celebre Niccolò Piccinino. La venuta degli Sforza segnò l’inizio del decadimento del Paese che, afflitto da molti mali, non è mai risorto all’antico splendore.

Nel 1851, per le sue benemerenze verso la Chiesa, venne da S. Pio IX eretto a Città e gli fu restituito il nome di Pausula. Anche il sigillo della comunità venne modificato: al suo scudo fu aggiunta, sopra l’olmo, una fenice risorgente dalle sue ceneri.

Nel 1931 venne denominata Corridonia, per aver dato le origini a Filippo Corridoni sindacalista interventista, morto nella trincea delle Frasche il 23 Ottobre 1915.Il 18 Ottobre 1973, con decreto del Presidente della Repubblica, si tornò a riconoscere a Corridonia il titolo di Città.

PERSONAGGI ILLUSTRI

Luigi Lanzi

Nato a Treia (allora Montecchio), nel giugno del 1732, figlio di Bartolomea Firmani e del medico Gaetano Lanzi, a cinque anni fu colpito da una grave malattia – forse il vaiolo – e la sua guarigione, che secondo alcuni ebbe del miracoloso, venne attribuita all’intercessione di San Luigi Gonzaga.

La famiglia, già intenzionata ad avviare il bambino verso la carriera ecclesiastica, decise di affidarlo alla Compagnia di Gesù. Nel 1744 si trasferì a Fermo e studiò presso il Collegio dei Gesuiti dove nel 1747 ricevette la tonsura. Nel novembre del 1749 si recò a Roma, indossò l’abito della Compagnia di Gesù ed iniziò ad insegnare, attività che condusse fino al 1773 quando l’Ordine fu soppresso. Nel 1775 assunse la carica di antiquario della Galleria degli Uffizi di Firenze e, dal 1780, fu membro della commissione che si occupò di riordinare e rammodernare la galleria granducale.

Tra le sue opere ricordiamo: La Real Galleria di Firenze accresciuta e riordinata (1782); Notizie preliminari circa la scoltura degli antichi e vari suoi stili (nel 1785 in inglese e nel 1789 in italiano); Saggio di lingua Etrusca e di altre antiche d’Italia; De vasi antichi dipinti volgarmente chiamati etruschi (nel 1801); Storia pittorica della Italia inferiore (del 1792); Storia pittorica della Italia (1795-96).

Nel 1798, con l’arrivo dei francesi lasciò Firenze per raggiungere Udine dove fu ospite dei Barnabiti. Tornò in riva all’Arno nel 1801 e nel 1808 ottenne la presidenza della sezione della Crusca. Da quel momento, le sue condizioni di salute peggiorarono sistematicamente a causa di gravi disturbi alla vista e alle articolazioni. Morì nel capoluogo toscano nel marzo del 1810.

Filippo Corridoni

Filippo Corridoni nacque a Pausula, oggi Corridonia, il 19 agosto 1887 da una famiglia di operai. Dopo avere studiato all’Istituto Superiore Industriale di Fermo si trasferì nel 1905 a Milano per lavorare presso l’azienda metallurgica Miani-Silvestri. Nella città lombarda aderì prima al socialismo e più tardi divenne uno dei capi del sindacalismo rivoluzionario, guidando vittoriosamente importanti lotte per l’emancipazione dei lavoratori.
Ardente sindacalista e propagandista instancabile Corridoni univa alla fede nei suoi ideali un forte senso di rispetto verso il mondo operaio. Per non tradire la sua ideologia, nella sua breve vita affrontò condanne, molti mesi di detenzione presso le carceri di S. Giovanni in Monte di Bologna, di Modena e soprattutto S. Vittore a Milano e, persino, l’esilio, prima in Francia e poi in Svizzera. Da uomo d’azione durante la lontananza forzata riuscì però a rientrare in Italia protetto dallo pseudonimo Leo Celvisio. Scelse il nome Leo a ricordo della Rocca si San Leo fortezza papalina dove venivano rinchiusi i detenuti politici e il cognome Celvisio perché la prima cosa che vide rientrato in Italia, a Ventimiglia, fu un cartello pubblicitario della birra omonima.
Nel 1912, sempre a Milano, fondò l’Unione Sindacale Milanese di cui divenne segretario.

Nel 1914, durante la disputa tra neutralisti e interventisti di fronte alla grande guerra, si dichiarò a favore dell’entrata nel conflitto dell’Italia a fianco delle forze dell’Intesa e guidò il movimento interventista a Milano. Quando il 24 maggio 1915, a conflitto iniziato da dieci mesi, l’Italia, mutando la sua posizione di neutralità, entrò in guerra, Corridoni si arruolò volontario.

Partì per il fronte il 25 luglio 1915 e vi rimase 4 mesi. Morì sul Carso alla Trincea delle Frasche il 23 ottobre mentre l’esercito italiano cercava di conquistarla per avere via libera verso Gorizia. Senza la caduta di questa zona dell’altopiano carsico sarebbe, infatti, stato effimero addestrarsi verso l’interno.

Corridoni morì in una trincea che fu presa e persa più volte e che nonostante l’ardimento dei soldati italiani alla fine rimase austriaca. Il suo corpo, scomparso nell’infuriare della battaglia, nonostante le ricerche dei compagni, non fu mai ritrovato.

Dopo la morte fu decorato con medaglia d’argento, trasformata poi in oro alla memoria perché, come si legge nel volume dell’Albo d’oro dei caduti nella prima guerra mondiale, a cura dell’Istituto Poligrafico dello Stato a Roma nel 1933, visibile sia nella Casa Museo Filippo Corridoni sia nella Biblioteca Comunale:

Soldato volontario e patriota instancabile, col braccio e la parola tutto se stesso diede alla Patria con entusiasmo indomabile. Fervente interventista per la grande guerra, anelante alla vittoria, seppe diffondere la sua tenace fede tra tutti i compagni, sempre di esempio per coraggio e valore. In testa alla propria compagnia, al canto di inni patriottici, muoveva fra i primi e con sereno ardimento all’attacco di difficilissima posizione e tra i primi l’occupava. Ritto, con suprema audacia sulla conquistata trincea, al grido: “Vittoria! Viva l’Italia!” incitava i compagni che lo seguivano a raggiungere la meta finche cadeva fulminato da Piombo nemico.

La lotta interventista da lui condotta, la morte eroica, i racconti di chi gli fu più vicino nelle ultime ore, il mistero del corpo mai ritrovato, alimentarono una strumentalizzazione e l’esaltazione del Corridoni come eroe fascista che fu perpetuata dal regime e raggiunse il suo apice nel 1931 quando Pausula divenne Corridonia. Caduto il fascismo questa figura, proprio in virtù della celebrazione che ne aveva fatto la dittatura di Mussolini, cadde nell’oblio. Gli studi su questo personaggio risentono ancora di questa situazione, anche se negli ultimi anni si sta procedendo ad una riscoperta critica di questa personalità, grazie soprattutto all’attività di circoli culturali a lui dedicati a Parma, Milano e Corridonia dove è stato allestito presso la casa natale il “Museo Filippo Corridoni”.

Eugenio Niccolai

Nacque il 13 Luglio 1895 a Pausula, l’attuale Corridonia (Macerata), figlio unico di Pia ed Ermete. Studente di giurisprudenza, si impegnò nel movimento nazionalista e si dedicò al giornalismo. Fece il corrispondente per “L’Ordine” e del “Resto del Carlino” e fu uno dei fondatori, a Macerata, dell’Associazione della Stampa. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si arruolò e, dopo aver frequentato a Modena il corso alla Regia Scuola Militare di Fanteria, venne nominato Sottotenente e assegnato al 151° Reggimento Fanteria della Brigata Sassari. Niccolai  da comandante di plotone partecipò alla conquista della Trincea delle Frasche e dei Razzi, azioni che valsero alla Brigata Sassari la prima citazione sul Bollettino del Comando Supremo.
Promosso Tenente nel settembre del 1916, Niccolai diede prova di capacità militari anche sull’Altipiano della Bainsizza, dove la Brigata SASSARI meritò la seconda Citazione sul Bollettino di Guerra. Promosso per meriti Capitano di Complemento nel novembre del 1917, Eugenio Niccolai sceglie di restare nella Brigata degli “Intrepidi Sardi” che viene nuovamente inviata sull’Altipiano di Asiago.

Il 28 gennaio 1918, la compagnia di Niccolai è la prima a lanciarsi all’attacco del Col del Rosso: comincia la Battaglia dei Tre Monti (oltre Col del Rosso, obbiettivi della Sassari sono Monte Valbella e Col d’Echele). Cruenti combattimenti fino al 31 gennaio, con momenti drammatici per il 151° che il primo giorno perde il comandante di Reggimento, Col. Giovanni Aprosio (MOVM alla memoria), colpito in pieno da un proiettile d’artiglieria mentre guida i suoi uomini all’attacco. Esaurite le munizioni, i fanti si difendono anche con i sassi. Gli austriaci, resisi conto della difficoltà del momento dei “sassarini”, isolati e senza munizioni, si lanciano all’attacco sicuri di riconquistare le posizioni perse. Tra i reparti della Sassari solo un attimo di esitazione, svanito quando si capisce che indietreggiare significa perdere ciò che si era conquistato a caro prezzo e che l’unica alternativa possibile, arrendersi, non è nella loro indole. I “Diavoli Rossi”, al grido di “Avanti Sardegna” e “Forza Paris”  contrattaccano alla baionetta, disorientando e sorprendendo gli austriaci, più numerosi, meglio armati e equipaggiati. Niccolai viene ferito in varie parti del corpo, ma si rifiuta di lasciare i suoi uomini e deve assumere il comando del II Battaglione, dopo il ferimento in maniera grave del comandante . Durante una pausa dei combattimenti, scrive anche una cartolina ai genitori per tranquillizzarli: “sono lontano da qualsiasi pericolo. Ho partecipato con entusiasmo e onore alla grande azione. Saluti e Baci. Non preoccupatevi, sto benissimo“. Alle prime ore del mattino del 31, mentre guida i suoi Sassarini che respingono un contrattacco nemico, viene colpito al cuore e, a causa del tiro delle artiglierie austroungariche, il corpo di Eugenio Niccolai viene recuperato solo nelle prime ore del 1 febbraio. Il giorno dopo la salma di Niccolai, caduto a soli 22 anni e mezzo, viene tumulata in un cimitero da campo accanto al Colonnello Aprosio. Il 29 Maggio 1919 viene  concessa al capitano Niccolai la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. La sua salma resta nel cimitero da campo fino al 1924 quando viene traslata nella tomba di famiglia a Macerata.

I MONUMENTI

Chiesa dei SS. Pietro, Paolo e Donato

Ricostruita su disegno del Valadier su struttura del secolo XIII (di cui resta la cripta, visitabile a richiesta), mostra un interno singolare a tre navate che, a metà, incurvano per generare la cupola. Conserva un “Crocifisso” del Duecento in legno policromo, davanti al quale la tradizione popolare vuole si sia raccolto in preghiera San Francesco d’Assisi. Nella parte sotterranea della chiesa si trova la Cripta dove sono riposte le spoglie dei sacerdoti e dei chierici della parrocchia, nonché dei componenti delle famiglie nobili del tempo.

Accanto alla chiesa vi è la pinacoteca parrocchiale che nata per iniziativa di padre Pallotta custodisce pregevoli opere come: la “Madonna con Bambino” di Carlo Crivelli (1470-1473), la “Madonna dell’umiltà”, di Andrea da Bologna (1373), una “Madonna con Bambino e Santi” di Lorenzo d’Alessandro (1481), una “Madonna con Bambino, San Pietro e San Francesco” di Vincenzo Pagani (1517).

Conserva un “Crocifisso” del Duecento in legno policromo, davanti al quale la tradizione popolare vuole si sia raccolto in preghiera San Francesco d’Assisi. Nella parte sotterranea della chiesa si trova la Cripta dove sono riposte le spoglie dei sacerdoti e dei chierici della parrocchia, nonché dei componenti delle famiglie nobili del tempo. Accanto alla chiesa vi è la pinacoteca parrocchiale che nata per iniziativa di padre Pallotta custodisce pregevoli opere come: la “Madonna con Bambino” di Carlo Crivelli (1470-1473), la “Madonna dell’umiltà”, di Andrea da Bologna (1373), una “Madonna con Bambino e Santi” di Lorenzo d’Alessandro (1481), una “Madonna con Bambino, San Pietro e San Francesco” di Vincenzo Pagani (1517).

Chiesa di San Francesco

La chiesa di San Francesco è una delle più antiche del paese. Fu edificata, intorno all’anno 1000, dai benedettini del monastero di Santa Croce al Chienti. Dato che la costruirono nei pressi della roccaforte all’epoca esistente in quella zona, la chiamarono Santa Maria in Castello o Santa Maria di fronte al Castello.

Dell’architettura originale non è rimasto praticante niente che ci possa dimostrare il suo aspetto. In seguito ad alcune donazioni, nelle vicinanze della chiesa vennero realizzati un cimitero ed un convento. Secondo la tradizione del tempo, accanto a questo nuovo luogo di culto venne piantato un olmo. Nel corso degli anni crebbe a tal punto da divenire il simbolo del Comune, che non a caso in quel periodo era ancora conosciuto come Montolmo.

Verso l’inizio del 1200 la piccola chiesa di santa Maria in Castello versava in condizioni pessime. Le intemperie che si abbattevano sul colle dove sorgeva rendevano necessari continui lavori di manutenzione. I monaci, però, non avevano risorse sufficienti. Così, il 5 febbraio del 1233, pochi anni dopo la morte di San Francesco, la chiesa venne venduta all’ordine dei frati Minori. Proprio durante questo periodo, infatti, la presenza dei francescani nella zona era aumentata notevolmente. Ottenute una serie di donazioni, si procedette con la ristrutturazione e l’ampliamento della chiesa e dell’annesso convento. Sotto le maestranze di Giorgio da Como, l’intero complesso acquistò un’architettura di evidente stile gotico, in parte ancora visibile.

La chiesa vera e propria, dedicata a San Francesco, venne consacrata solo nel 1399 da Giovanni da Montelupone Vescovo Neopatrense, appartenente allo stesso ordine. Il seguito, il suo pregio crebbe moltissimo, soprattutto grazie alla presenza di pregevoli opere d’arte che vi risiedono tuttora. Per un lungo arco di tempo, praticamente durante tutto il Medioevo fino alle porte dell’Ottocento, allorché venne ingrandita quella dei Santi Pietro, Paolo e Donato, la chiesa di San Francesco fu considerata come quella più capiente ed importante della città. In essa si svolgevano le celebrazioni religiose fondamentali, come l’amministrazione della cresima o la predicazione durante il periodo dell’Avvento e della Quaresima. Nel 1476 venne iniziata la costruzione di un campanile, progetto reso concreto grazie ai contributi del Comune e delle famiglie nobili dei Lepretti e dei Filippini, che si erano trasferiti a Montolmo da Recanati. Il risultato fu una torre alta 40 metri, abbellita sulla sommità con una serie di maioliche, culminante con una punta di mattoni a vista. Nel 1575, due orologiai maceratesi, mastro Lorenzo e mastro Ippolito, vi installarono il primo orologio pubblico. Vista l’eccellente altezza della struttura, essa venne utilizzata anche come punto di osservazione, utile per segnalare eventuali attacca da parte di pirati saraceni, frequenti in quell’epoca. Successivamente, nel 1566, sotto il pavimento della chiesa vennero impiantate delle catacombe, in cui ospitare i defunti della maggiori famiglie aristocratiche della città. Tali catacombe, nonostante i diversi lavori di ristrutturazione, sono tuttora rimaste quasi del tutto intatte.

Durante il periodo del dominio napoleonico, le soppressioni degli ordini religiosi che allora vennero emanati dai francesi, si scagliarono anche contro l’ordine dei Minori conventuali. Nel 1813, il marchese Anton Clemente Ugolini acquistò l’intero complesso, chiesa, convento ed orto. Una parte della struttura tornò poi nelle mani dei francescani grazie all’operato del frate Francesco Bartoloni, il quale fu anche responsabile dell’ammodernamento che, intorno agli anni 1830 e 1850, trasformò quasi completamente il sacro edifico di stile gotico e gli diede la sua fisionomia barocca. La pianta ad un’unica navata ha altari addossati alle pareti, inseriti tra quattro colonne con capitelli corinzi. Al suo interno si conserva inoltre un organo del 1859 opera di “G. Bazzani” e numerose opere d’arte su tela e su tavola risalenti al XVII secolo. All’indomani dell’annessione delle Marche al nuovo Regno unitario, i decreti di soppressione delle corporazioni religiose, predisposti dai piemontesi nella figura di Lorenzo Valerio, colpirono anche l’ordine dei Minori conventuali di Pausula. Le conseguenze più immediate, come era prevedibile, si abbatterono immediatamente sulla vita degli stessi monaci. Attualmente, i locali dell’ex convento dei Minori conventuali sono occupati ancora dalle scuole, anche se, nel corso degli anni, le diverse tipologie di pubblica istruzione si sono succedute diverse volte. I locali hanno ospitato dal 1908 il nucleo storico dell’istituto professionale (denominato all’epoca scuola di Arti e Mestieri), fondato con il contributo del Comune, dalla Congregazione di carità, del Ministero e della Provincia. La scuola si è trasferita all’inizio degli anni ’60 nel nuovo complesso costruito dall’E.N.A.O.L.I. Dopo aver ospitato anche la scuola elementare, oggi è sede della scuola media. Ulteriori stanze del complesso architettonico sono state predisposte per istituirvi alcuni uffici pubblici, come l’anagrafe e gli uffici elettorali. Diverso è il discorso per la chiesa di San Francesco. Nel 1928 il Comune affidò questo luogo di culto di altissimo valore artistico alla Congregazione dei contadini. L’incarico era quella di provvedere alla sua manutenzione, cosa che venne eseguita fino all’inizio degli ultimi lavori di restauro, risalenti a i primi anni Novanta. Oggi, la chiesa viene utilizzata come Auditorium dove vengono organizzate di carattere artistico e conferenza. D’altronde, i suoi interni sono molto suggestivi. La chiesa è stata dichiarata Monumento nazionale ai sensi della legge n.1089 dell’1.6.1939.

Palazzo Persichetti Ugolini

Il maestoso Palazzo Persichetti-Ugolini, residenza patrizia della famiglia omonima, è compreso nel complesso ex conventuale San Francesco e si erge sul lato sinistro di Piazza del Popolo di fronte all’abside della chiesa. Fu costruito nel XVIII secolo per accorparlo al complesso ex-conventuale. Tale accorpamento è dimostrato dalla diversa struttura architettonica delle sue parti principali avvertibile chiaramente nel gigantesco portico prospiciente la piazza e nei piani primo e secondo che presentano una tipologia architettonica coerente e tipica dell’800 mentre invece il piano terra e parte del piano primo sono riconducibili ad epoca più remota, XIII e XIV secolo. Il 7 gennaio del 1813 Anton Clemente Ugolini, per salvarlo dalle leggi di soppressioni napoleoniche, acquista dai Reverendi Padri Conventuali Francescani il preesistente Convento e vi edifica quindi il Palazzo. I Persichetti subentrano nella proprietà del Palazzo a fine ‘800 e rimangono suoi proprietari nella veste della Contessa Persichetti Ugolini Elena Fausta fino al 1998. L’anno dopo la morte della Contessa, nel 1999, il Comune acquista l’immobile dalle Sig.re Cardelli Anna e Cardelli Paola, eredi della Contessa Persichetti Ugolini Elena Fausta. All’interno le sale del piano primo e secondo, coperte in parte a volta con mattoni in foglio ed in parte con canne e gesso, sono interessate da decorazioni a tempera di estrema bellezza ed eleganza, espressione tipica della moda dell’epoca. La maggior parte dei dipinti è riconducibile alla prima metà dell’ottocento e lasciano pensare alla mano di un pittore locale. Il settecentesco Palazzo Persichetti-Ugolini è la sede della Pinacoteca Civica è, residenza patrizia della famiglia omonima. La raccolta comprende opere pittoriche, reliquari e crocifissi lignei. All’interno le sale del piano primo e secondo, coperte in parte a volta con mattoni in foglio ed in parte con canne e gesso, sono interessate da decorazioni a tempera di estrema bellezza ed eleganza. Tra gli artisti di maggior rilievo Durante Nobili da Caldarola, i fratelli Morganti, Francesco Trevisani, Giovanni Maria Morandi e Sigismondo Martini. Al secondo piano di Palazzo Persichetti Ugolini è ubicata la Biblioteca Comunale. Il suo patrimonio documentario consta attualmente di circa 2000 monografie, divise fra materiale antico e moderno. Fra le tante opere di pregio (es. dizionari, enciclopedie, mediateca) vanno, senza dubbio, menzionati il ricco fondo di Arte nelle sue molteplici sfaccettature, la vasta scelta di romanzi classici e moderni e la notevole sezione Marche. Peculiari risultano, invece, essere i ricchi fondi tematici relativi ai più importanti personaggi storici locali, quali Filippo Corridoni e Luigi Lanzi, oltre alla sezione Corridonia.

Fu costruito nel XVIII secolo per accorparlo al complesso ex-conventuale. Tale accorpamento è dimostrato dalla diversa struttura architettonica delle sue parti principali avvertibile chiaramente nel gigantesco portico prospiciente la piazza e nei piani primo e secondo che presentano una tipologia architettonica coerente e tipica dell’800 mentre invece il piano terra e parte del piano primo sono riconducibili ad epoca più remota, XIII e XIV secolo. Il 7 gennaio del 1813 Anton Clemente Ugolini, per salvarlo dalle leggi di soppressioni napoleoniche, acquista dai Reverendi Padri Conventuali Francescani il preesistente Convento e vi edifica quindi il Palazzo. I Persichetti subentrano nella proprietà del Palazzo a fine ‘800 e rimangono suoi proprietari nella veste della Contessa Persichetti Ugolini Elena Fausta fino al 1998. L’anno dopo la morte della Contessa, nel 1999, il Comune acquista l’immobile dalle Sig.re Cardelli Anna e Cardelli Paola, eredi della Contessa Persichetti Ugolini Elena Fausta. All’interno le sale del piano primo e secondo, coperte in parte a volta con mattoni in foglio ed in parte con canne e gesso, sono interessate da decorazioni a tempera di estrema bellezza ed eleganza, espressione tipica della moda dell’epoca. La maggior parte dei dipinti è riconducibile alla prima metà dell’ottocento e lasciano pensare alla mano di un pittore locale. Il settecentesco Palazzo Persichetti-Ugolini è la sede della Pinacoteca Civica è, residenza patrizia della famiglia omonima. La raccolta comprende opere pittoriche, reliquari e crocifissi lignei. All’interno le sale del piano primo e secondo, coperte in parte a volta con mattoni in foglio ed in parte con canne e gesso, sono interessate da decorazioni a tempera di estrema bellezza ed eleganza. Tra gli artisti di maggior rilievo Durante Nobili da Caldarola, i fratelli Morganti, Francesco Trevisani, Giovanni Maria Morandi e Sigismondo Martini. Al secondo piano di Palazzo Persichetti Ugolini è ubicata la Biblioteca Comunale. Il suo patrimonio documentario consta attualmente di circa 5000 monografie, divise fra materiale antico e moderno. Fra le tante opere di pregio (es. dizionari, enciclopedie, mediateca) vanno, senza dubbio, menzionati il ricco fondo di Arte nelle sue molteplici sfaccettature, la vasta scelta di romanzi classici e moderni e la notevole sezione Marche. Peculiari risultano, invece, essere i ricchi fondi tematici relativi ai più importanti personaggi storici locali, quali Filippo Corridoni e Luigi Lanzi, oltre alla sezione Corridonia.

Piazza Filippo Corridoni e Palazzo comunale

La piazza costituisce un importante esempio dell’architettura Razionalista italiana. Costruita sull’antica Piazza Castello, di cui restano la chiesa di San Francesco ed alcune case del XV secolo, la sua caratteristica principale è quella di aver creato un ambiente urbano moderno in un tessuto edilizio antico.
Tutto ebbe inizio con l’abbattimento di alcune costruzioni situate nell’area interessata dai lavori: una fortificazione di epoca medievale, la chiesa di Santa Maria de Jesu e numerose abitazioni già espropriate. Si procedette quindi con un consistente sbancamento di terreno, per livellare la superficie ottenuta a seguito delle demolizioni. Il livello del vecchio piano di calpestio è ancora visibile sul fianco sinistro della chiesa di San Francesco, per la quale si dovette costruire una scalinata di raccordo fra l’ingresso principale, rimasto in posizione sopraelevata, e la pavimentazione della piazza. L’area fu inaugurata alla presenza di Benito Mussolini nel 1936, al culmine delle celebrazioni organizzate in memoria di Corridoni: in onore di quest’ultimo, nel 1931 la città di Pausula aveva mutato il proprio nome assumendo quello di Corridonia. Nell’occasione, il regime bandì un concorso nazionale per la progettazione della piazza, i cui risultati non furono però giudicati soddisfacenti. Si decise così di scindere il progetto, affidando a Oddo Aliventi l’incarico di eseguire l’imponente statua, mentre l’arch. Giuseppe Marrani e l’ing. Pirro Francalancia avrebbero portato a termine la piazza ed un complesso comprendente il nuovo municipio, l’ufficio postale, una fontana-acquedotto e le relative strutture di collegamento. Il Palazzo Comunale funge, inoltre, da cornice al monumento di Filippo Corridoni, scultura in bronzo alta sette metri, realizzata da Oddo Aliventi. Sul lato settentrionale s’innalza il monumento ai caduti, con alla base una fontana in marmo. La piccola chiesa seicentesca del Suffragio chiude la piazza e testimonia l’originaria conformazione della stessa. La scultura di Oddo Aliventi misura sette metri d’altezza; dodici con l’aggiunta del basamento. Per realizzarla vennero fusi diversi cannoni requisiti agli austriaci durante la prima guerra mondiale. Nella porzione inferiore è posizionata quella che potrebbe sembrare la carena di una nave, si tratta in realtà della torretta di un sommergibile concepita con funzione di pulpito. Nella parte sottostante del monumento un arengario, composto da sei bassorilievi in bronzo, illustra i momenti salienti della vita di Corridoni: il sindacalismo, l’interventismo, il sacrificio. Superando il monumento si incontrano i tre ingressi sotto il portico da cui si accede all’atrio del Palazzo Comunale dove è visibile la bella scala d’onore.

L’edificio comunale funge da cornice al monumento all’eroe comprende un corpo centrale e uno laterale collegati da loro da un bel portico. Il palazzo comprende due piani e un ammezzato. Nel piano terreno, dopo un ampio atrio, a cui si accede dal portico mediante tre ingressi, si trovavano, il salone di onore per le pubbliche cerimonie e la biblioteca, gli uffici per le guardie, l’ufficiale sanitario e il veterinario. La Sala Consiliare, prima chiamata la Sala dell’Impero è costituita da un soffitto e un pavimento decorati in modo da riprodurre quelli del Pantheon a Roma. Sulla parete di fondo si trovava l’affresco denominato “Tireremo Diritto”, dell’artista Guglielmo Ciarlantini, raffigurante Mussolini a cavallo come un moderno San Giorgio, con il drago ai suoi piedi e le aquile meccaniche alla maniera futurista che volano in alto a sinistra. Ultimato il 20 ottobre 1936 per l’inaugurazione del Palazzo Comunale, nei giorni seguenti la liberazione di Corridonia, il dipinto venne graffiato e coperto da uno strato d’intonaco. Con una doppia scala si saliva al pianerottolo da cui si accedeva alla pinacoteca, alla logia del salone d’onore e all’archivio. Al primo piano, un grande salone per il pubblico dava accesso a tutti gli uffici. Dal portico si accedeva inoltre agli uffici poste, e telegrafo. Al lato opposto da alcuni gradini si accedeva ad una terrazza scenografica che dà sulla piazza. Fanno da corona alla piazza i vecchi fabbricati restaurati, della monumentale Chiesa di S. Francesco, delle scuole urbane con il grazioso porticato romancio e delle case Bartolazzi, Barconi e Cambogiani. Si segnala, infine, uscendo dalla Piazza, lasciandosi alle spalle il palazzo comunale, alla destra del monumento, la scritta 1936 fatta con mattoncini rossi che si confondono tra i San Pietrini della pavimentazione. Ricordo perenne dell’anno d’inaugurazione.

Abbazia di San Claudio

Un lungo viale ombreggiato da maestosi cipressi, conduce dinanzi a questo singolarissimo esempio del romanico italiano. Ci troviamo in presenza di “un caso unico, in cui il modello germanico della ‹‹cappella a due piani›› assurge a scala monumentale”, per dar vita ad una chiesa doppia sovrapposta coperta con volte a crociera. Edificio sacro tra i più antichi esistenti nelle Marche, costituì la pieve più settentrionale della diocesi di Fermo e venne eretto – secondo la tradizione – sulle rovine di un precedente impianto databile al V-VI secolo.

Il luogo di culto è situato nell’area archeologica della città romana di Pausulae, che nel 465 risultava essere sede di una diocesi; esso è comunque sorto in un’epoca successiva all’abbandono dell’insediamento da parte dei suoi abitanti, quando la diocesi di riferimento di questo territorio era già quella di Fermo.

Stando alle attente ricerche effettuate da Hildegard Sahler, la chiesa risalirebbe al tempo del vescovo fermano Uberto (doc. 996-1044). Alcuni caratteri stilistici la circoscriverebbero al periodo compreso tra il 1010 e il 1040; va però detto che l’utilizzo degli archi falcati e dei contrafforti a sperone, ad esempio, rimandano a tutto l’XI secolo. Inoltre è necessario tenere in considerazione anche degli episcopati più tardi come quello di Udalrico (1057-1074) che, tra l’altro, nel 1060 era impegnato a recuperare terre tra il fiume Chienti e il torrente Trodica, per conto dell’abbazia di Sant’Apollinare in Classe. Senza mai abbandonare le dovute cautele, si può dunque ipotizzare che il manufatto risalga “grosso modo” agli anni Sessanta dell’XI secolo. La prima citazione attendibile è comunque datata 1089, mentre per il palazzo vescovile è necessario attendere il 1254.

L’aspetto attuale della struttura è frutto dei restauri e dei rimaneggiamenti che si sono succeduti già a partire dal XII-XIII secolo e, in proposito, vanno ricordate le distruzioni arrecate dai maceratesi nel corso del Duecento. Dalla documentazione esistente si evince che il livello superiore ebbe la funzione di cappella vescovile; quello inferiore fu invece adibito a chiesa per i fedeli e dedicato a San Claudio, martirizzato nel 306. Annoverato fra i quattro Santi Coronati – protettori degli scalpellini e dei muratori – quest’ultimo compare “armato” di squadra, cazzuola e martellina, in un affresco di probabile scuola umbra (1486) visibile nell’abside principale. La sua immagine è affiancata da una raffigurazione di San Rocco, protettore contro la peste.

Nuda ed essenziale, la facciata dell’edificio è caratterizzata da due torri cilindriche – risalenti

alla prima fase costruttiva – aperte in alto da bifore e monofore. Il portale in calcare della chiesa superiore venne realizzato nel XIII secolo, quando furono aggiunti lo scalone, il balcone e l’atrio sottostante. Le absidi sono dieci (cinque per piano), anche se osservandole dall’esterno sembrano cinque, essendo state costruite “a tutta altezza fin quasi alla linea di gronda”.

L’interno è pervaso da un’atmosfera solenne ed austera. Entrambi i livelli presentano un’unica grande aula, con quattro massicci sostegni centrali che nel piano inferiore sostengono nove volte a crociera; nel piano superiore, le volte si sono conservate soltanto nella navata sud, mentre le altre due navate sono coperte con tetto a capriate.

La struttura custodisce alcuni reperti di età romana rinvenuti nella circostante area archeologica; i manufatti sono collocati dinanzi alla facciata (precisamente ai piedi e a ridosso dello scalone), al di sotto dell’atrio e all’interno delle due chiese.

Sebbene il titolo di abbazia venga spesso associato al luogo di culto, gli scritti fin qui pervenuti attestano – senza ombra di dubbio – che quest’ultimo sorse come pieve e che mai fu retto da un abate. Secondo una discussa teoria, sembrerebbe inoltre che l’odierna San Claudio altro non sarebbe se non la potente Aquisgrana dell’epopea carolingia; fino ad oggi, però, tale

ricostruzione è stata smentita sia dalla documentazione disponibile, sia dalle approfondite indagini effettuate da archeologi e storici dell’arte.

Musei

Casa Natale Filippo Corridoni

Presso la sede del Museo in Via Trincea delle Frasche il visitatore viene accolto dal mito Corridoni.

 Al primo piano, nella stanza d’ingresso, dove si trovano i simboli del focolare domestico, sono collocati gli affetti familiari, la sua infanzia e la prima formazione.  Si prosegue nell’altra stanza con la sua attività di agitatore  politico e sindacale. L’antimilitarismo degli esordi, il primo esilio, lo sciopero agrario di Parma del 1908, la sua militanza a Milano, le lotte contro la guerra di Libia, la formazione dell’Unione Sindacale Italiana. Sintesi di un’attività frenetica, costellata da frequenti condanne, in cui Corridoni conquistò sul campo la fama di straordinario capopolo. Al secondo piano ritroviamo l’ultimo Corridoni, che matura in carcere, in quell’estate del ’14, dopo lo scoppio della Grande Guerra, l’adesione all’interventismo. Lui è a fianco del Belgio martire, della Francia repubblicana, contro le forze della reazione e del conservatorismo rappresentate dalla Germania e dall’Austria. La guerra non lascerà le cose come prima: la guerra è la premessa necessaria della rivoluzione. Il Corridoni che scrive Sindacalismo e Repubblica nel riposo forzato del carcere e poi si lancia nella frenetica attività dei comizi interventisti è ancora il sindacalista  che si prepara a diventare l’eroe, coerente con tutta la sua vita di agitatore. E poi il dramma della guerra vissuta, al fronte, dove lui, duce dei volontari, va consapevole incontro alla morte alla Trincea delle Frasche.

Pinacoteca civica

La Pinacoteca civica e raccolta d’Arte sacra di Corridonia è custodita all’interno del Palazzo Persichetti – Ugolini di Corridonia, residenza patrizia della famiglia omonima, è compreso nel complesso ex conventuale di San Francesco e si erge sul lato sinistro di Piazza del Popolo di fronte all’abside della chiesa. All’interno le sale del piano primo e secondo, coperte in parte a volta con mattoni in foglio ed in parte con canne e gesso, sono interessate da decorazioni a tempera di estrema bellezza ed eleganza. Tra gli artisti di maggior rilievo Durante Nobili da Caldarola, i fratelli Morganti, Francesco Trevisani, Giovanni Maria Morandi e Sigismondo Martini.

Teatro G.B. Velluti

Nella piccola Montolmo (oggi Corridonia), la passione del teatro ha origini precoci; risale infatti al 1603 l’istanza (come al solito nella ragione avanzata da cittadini giovani ed entusiasti, spesso riuniti in filodrammatiche) per sovvenzioni pubbliche finalizzate all’allestimento di commedie (o meglio “tragicommedie” in questo caso) che verranno allestite nella Chiesa sconsacrata di S. Antonio, ormai fatiscente, appositamente rilevata dalla comune agli inizi dell’Ottocento per adibirla a sala teatrale. Allo questo scopo vengono acquistati il palcoscenico, le scene e le decorazioni del rinnovato Teatro dell’Aquila di Fermo per duecentocinquanta scudi (P.P. Bartolazzi, Memorie di Montolmo, 1887). Questa struttura rimane in uso per alcuni anni, quando nel 1817 Giacomo Nobili, esponente dell’aristocrazia locale, prende l’iniziativa di costruire un condominio teatrale con 28 soci, fra i quali il Comune di Montolmo che sottoscrive tre quote in cambio della proprietà del palco centrale “dedicato alla pubblica Rappresentanza”. Il teatro è stato inaugurato, con ogni probabilità, il 26 dicembre 1819, ma si hanno notizie certe su spettacoli di prosa e musicali a partire dal Carnevale 1820. Sempre dalle Memorie di Montolmo si apprende che nel teatro furono eseguiti alcuni oratori sacri di due autori locali, il compositore Pietro Ciaffoni e lo scrittore Angelo Cola. Nel 1823 viene approvato il regolamento che regola l’attività teatrale e dal quel momento sono presenti diverse compagnie di prosa e di marionette.

L’opera lirica va in scena per la prima volta nel 184 con la rappresentazione dell’Elisir d’amore di Gaetano Donizetti. Altre opere andate in scena sono la Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti e il Trovatore di Giuseppe Verdi (1872), Il barbiere di Siviglia e Rigoletto (1884), il Faust di Chermes Gounod (1892), Fra Diavolo di Daniel-François-Esprit Auber e la Figlia del Reggimento di Gaetano Donizetti (1896). Nel 1844 si collocarono per la prima volta in platea gli “scranni” a pagamento e nel 1845 si eseguirono lavori di sistemazione con la dotazione di un nuovo sipario, opera dello scenografo conte Giuseppe Pallotta. Nel 1851 la città adotta il nome romano di “Pausola” e nel periodo 1853-1858 si fanno alcuni lavori di ristrutturazione, ma gli interventi più importanti vengono eseguiti nel 1904-1905 (trasformazione del terzo ordine in loggione, costruzione dell’atrio con scala indipendente di accesso al loggione, dotazione dell’impianto elettrico). Nel 1895 il teatro fu dedicato a Giovan Battista Velluti nato a Montolmo (oggi Corridonia) nel 1780; un sopranista evirato stimato da Gioacchino Rossini, Lorenzo da Ponte, Mayerbeer, Haendel e tanti altri compositori dell’epoca, come un grande “virtuoso” del canto non solo per la bellezza della voce e la grande tecnica musicale, ma anche per l’innata eleganza di interprete e di costume destinato a passare di successo in successo nei maggiori teatri italiani ed europei. Nel 1903 i fratelli De Gaetani vi danno una rappresentazione cinematografica muta.

Nel 1904 si procede ad una nuova decorazione affidata al pittore locale Sigismondo Martini (allievo di Giovanni Douprè e Giacomo Bartolini) che, senza nessun compenso, nel settembre 1909, dopo quattro anni di lavoro come “architetto, pittore, decoratore e scenografo”,riapre al pubblico il teatro, sfolgorante per i freschi restauri e per lo sfarzoso impianto elettrico, che offre per circa dodici serate, la Carmen di Bizet. Durante la prima guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra, il Teatro fu aperto raramente e nel 1922, dopo saltuarie e brevi concessioni per serate cinematografiche, Vincenzo Perugini di Corridonia ne ottenne un lungo affitto, durante il quale organizzò vari spettacoli (anche cinematografici), operette ed altro, valendosi delle compagnie di passaggio nei teatri di Macerata. Dal 1920 al 1955 il Teatro, ridotto a “cinema”, assistette ad un penoso degrado e dal 1957 al 1961 l’Amministrazione Comunale, riparando i guasti precedenti, portò il Teatro a miglior decoro. Alla riapertura, la struttura fu adibita a piccole rappresentazioni di prosa e più frequentemente a proiezioni cinematografiche. Nel 1992 viene affidato l’appalto per i lavori di rifacimento del tetto e successivamente viene redatto un progetto generale dei lavori di completo restauro e recupero funzionale del Teatro. Si Riapre finalmente i battenti nel Luglio 2004 per merito di una convenzione tra il Comune di Corridonia e l’Associazione Culturale “Amici del Teatro”.

La stessa, facendosi carico gratuitamente della gestione teatrale, grazie alle conoscenze tecniche teatrali acquisite dai singoli soci, è riuscita ad adeguare le strutture di allestimento di scena ottimizzando le tecniche teatrali già adottate nell’800 con l’indispensabile intreccio tecnologico degli anni 2000. Così completo, sia dal punto di vista strutturale sia per quanto riguarda gli apparati decorativi, il restauro restituisce un gioiello da cui l’intera comunità corridoniana può trarre un indiscusso vanto. Il Teatro storico comunale “G.B.Velluti” è inserito nel sistema dei teatri storici marchigiani, come risulta dal “Libro bianco – Teatri Storici nelle Marche” – edito dall’Assessorato alla Cultura della Regione Marche – , così definiti in quanto sono caratterizzati da una forma che rimane immutata a partire dal XVII secolo ed aventi, quali linee essenziali, la pianta a ferro di cavallo, il palcoscenico ben separato dalla sala, la struttura cosiddetta “a pozzo”, con le pareti suddivise suddivise da palchi su due ordini ed il loggione. Da notare la singolarità ellissoidale della platea a beneficio dell’acustica di sala, finezza tecnica di difficile riscontro negli altri teatri storici esistenti. Interessante anche il soffitto dove sono raffigurate sei muse secondo lo stile “modernista in senso floreale”: si narra che il Sigismondo Martini durante il restauro del 1904 abbia dipinto i volti delle donne con sembianze di uno suo sfortunato amore pennese.

Molto importanti i lavori di restauro riguardanti l’apparato decorativo dei parapetti e colonne dei palchi in quanto trattasi di recupero delle originali pitture fine 1600 al di sotto dello strato decorativo più moderno. Il Teatro oggi è stato completamente ristrutturato, riportando alla luce il volto barocco originario che adesso gioca per soave contrasto con l’affresco liberty a soffitto del Martini ed al fine di mettere in risalto lo straordinario spettro dei cromatismi presenti in sala, la scelta del colore blu è sembrata meno banale e più intrigante per quanto riguarda la tappezzeria, il sipario e tutte le varie finiture tessili. L’Amministrazione Comunale e l’Associazione “Amici del Teatro”, intendono riempire tale contenitore con iniziative differenziate e con l’apporto di più volontà espresse da associazioni private ed istituzioni pubbliche, nonché di inserire tale struttura nella rete dei teatri marchigiani e nazionali. E` inoltre intenzione di promuovere gemellaggi con altri teatri storici della Comunità Europea, prendendo opportuni contatti con Zurigo, Parigi, Alicante e Londra, nei quali la figura di Giovan Battista Velluti, ultimo dei cantanti lirici evirati, è conosciuta ed apprezzata unitamente ad altri famosi contemporanei.

(Gi.Ca.)

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