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La lotta al razzismo non diventi un mestiere

editorialefeb“Io appartengo all’unica razza che conosco, quella umana – scriveva Albert Einstein. Una frase efficace per screditare il razzismo, uno dei fenomeni umani più odiosi, mosso quasi sempre dall’ignoranza e causa delle più immani tragedie della storia. La presunta diversità degli uomini genera sistematicamente ingiuste differenze nel riconoscimento dei diritti. “Se chiudi con il razzismo ti si apre un mondo” recitava un vecchio e funzionale slogan dell’Unicef.

Per contribuire a superarlo, il filosofo spagnolo Miguel de Unamuno si appellava, intelligentemente, ai viaggi. Cioè ad un modo proficuo di approfondire la conoscenza reciproca tra cittadinanze diverse e di sperimentare, seppur temporaneamente, una convivenza armonica: pratiche virtuose per abbattere diffidenza, pregiudizi, intolleranza. D’estate, poi, diventa tutto più facile.

Anche se non si ha la disponibilità ad effettuare “viaggi intelligenti” (e quindi utili allo scopo), i banchi di scuola (e i parchi-gioco) riescono quasi sempre, in modo naturale, a compiere il miracolo: i bambini, liberi dai condizionamenti dei genitori, stringono amicizie senza prevenzioni. Piccoli europei, asiatici, africani, sudamericani annullano ogni difformità nell’aiutarsi nei compiti, ma anche nel correre in bicicletta o davanti ad un pallone. Insomma, basterebbe moltiplicare le loro occasioni di aggregazione per investire seriamente su un futuro più roseo.

Invece “il mondo degli adulti”, che spesso dimentica i diritti naturali dei bambini, rivendica il proprio irrinunciabile ruolo di educatore. E lo fa trasformando un atteggiamento di tolleranza (che dovrebbe essere l’ovvietà) in una crociata ideologica. Così la lotta al razzismo diventa un duraturo atteggiamento radicalchic, una bandiera utile per tutte le stagioni, una sorta di mestiere militante. Per renderla visibile e collettiva si attivano rituali e affollate commissioni di esperti, si elaborano analisi sociologiche sempre più complesse, si producono voluminosi studi che in genere si scoloriscono presto, si promuovono immancabili sondaggi, si ostentano fiumi di belle parole. Per poi arrivare, dopo lunghi periodi di arduo lavoro, ad una sola conclusione: il razzismo esiste. E cresce.

Bella scoperta, verrebbe da aggiungere.

Emblematica, in tal senso, l’iniziativa “La piramide dell’odio in Italia”, promossa nientemeno che dalla Camera dei deputati. Varata un’affollata commissione, presieduta da Laura Boldrini, sui “fenomeni di odio, intolleranza, xenofobia, e razzismo”, sì, con la virgola prima della “e”, è stata poi dedicata a “Jo Cox”, per i tanti che non lo sapessero è il nome della deputata filo-europeista uccisa lo scorso anno nel Regno Unito. Alla “commissione Jo Cox” sono stati chiamati a far parte, tra gli altri, numerosi deputati, sociologi, rappresentanti del Consiglio d’Europa e un gran numero di associazioni, dall’Arci alla “21 luglio”, da Lunaria al Cospe, da Amnesty a tante altre. Tutti insieme appassionatamente.

Ben quattordici mesi di lavoro, 31 audizioni, l’assemblaggio di 187 documenti e la solita ricerca-sondaggio per avere la straconferma della gravità del fenomeno. Cioè degli “umori” di una rilevante quota di italiani, sempre più distanti proprio dalla “cultura dell’accoglienza indiscriminata” (spesso mossa più da interessi economici che umanitari) che caratterizza buona parte delle classi di potere. Con tanti immigrati vittime di interessi molto più grandi delle vergognose carrette nel Mediterraneo.

Cosa è emerso, nel dettaglio, dal sondaggio? Che quasi la metà del campione è convinto che un datore di lavoro dovrebbe dare la precedenza agli italiani per le assunzioni, il 56,4% pensa che troppo immigrati finiscano per degradare un quartiere, ben il 65% che i rifugiati siano “un peso”. Inoltre due persone su tre non vorrebbe avere i rom/sinti come vicini di casa e oltre quattro ragazzi su cinque non considera grave insultare, ridicolizzare o rivolgere frasi aggressive sui social.

Come contrastare tutto ciò? La commissione propone una serie di raccomandazioni (in sintesi: sanzionare maggiormente insulti pubblici, diffamazione o minacce, favorire la “contronarrazione”, prevedere giurì, includere rom, sinti e camminanti) che rischiano, però, di attirarsi accuse liberticide.

Tutto ciò, allora, suscita qualche provocatoria domanda conclusiva. Ad esempio: come mai a fronte di anni di “campagne di sensibilizzazione”, per più di qualcuno diventate una vera e propria “attività permanente”, il fenomeno del razzismo registra un preoccupante aumento? Non sarà che l’insofferenza verso il prossimo si diffonde come contrapposizione ad una casta di privilegiati predicatori e di testimonial a caccia di audience che dai propri salotti pontificano fiumi di tolleranza con consumate (e costose) belle parole politicamente corrette, buone intenzioni, straordinarie e patinate immagini d’autore?

Qui la ricerca della “Commissione Jo Cox” della Camera dei deputati

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