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Il lavoro (pubblico e privato) per ripartire

Tra le tante lezioni che questa pandemia ci sta ponendo davanti agli occhi, c’è l’assoluta conferma del valore del lavoro, elemento quanto mai sostanziale e vitale per l’affermazione dell’individuo e per il funzionamento delle nostre società.

All’essenzialità del lavoro pubblico, in primo luogo nella sanità, purtroppo oggetto negli ultimi anni di assurdi tagli economici e di conseguente degenerazione dell’intero comparto, si affianca la centralità dell’iniziativa privata, il vero volano del Paese, che in questi giorni ci sta garantendo servizi essenziali, dai rifornimenti alimentari alla logistica fino alla distribuzione e alla vendita al dettaglio. Si tratta di realtà che spesso siamo portati a dare per scontate e che invece in questi drammatici giorni ci mostrano il loro apporto fondamentale.

L’emergenza coronavirus ha restituito centralità all’homo faber: i medici e gli infermieri in prima linea, che stanno pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane nella loro missione di salvare altre esistenze, i farmacisti, gli scienziati, le donne e gli uomini del volontariato, gli amministratori locali, il personale dei supermercati, le forze dell’ordine, gli agricoltori, i lavoratori dell’industria e dell’artigianato, ogni tassello ha assunto un ruolo importante in questa battaglia per la vita. E lo sta facendo spesso nel silenzio e in ombra: una lezione per chi in questi anni, specie nei Palazzi, ha fatto della sterile polemica l’unica attività quotidiana.

Restituire centralità al lavoro vero significa, anche, non chiudere gli occhi di fronte agli annosi problemi collegati alla produzione, che in questi giorni stanno dimostrando tutta la loro drammaticità. A cominciare dal lavoro sommerso, che sta facendo piombare nell’indigenza assoluta masse di persone, soprattutto nel Mezzogiorno. O dal lavoro stagionale mal gestito (anche per pregiudizi ideologici) che sta creando difficoltà nel comparto agricolo per la mancanza di personale. O dall’evasione fiscale, risorse sottratte anche al potenziamento degli ospedali e all’innovazione tecnologica nell’apparato pubblico, sappiamo di quanta ne abbiamo bisogno anche in questi giorni.

Occorre, insomma, per questa nostra Italia un’iniezione di responsabilità. Quella che sta offrendo la maggior parte degli italiani “segregati” nelle case per il proprio e l’altrui salvaguardia. Con la stessa responsabilità è necessario dire no alle ennesime proposte di condoni, agli ulteriori provvedimenti per coprire le perdite di Alitalia o all’acquisto di altri onerosi mezzi per la Difesa, pratiche che dimostrerebbero di non aver capito la lezione.

La strada di garantire oggi il massimo della liquidità nel tessuto sociale del Paese è certamente sacrosanta. Ma attenzione a non radicare ulteriormente la visione di uno Stato assistenzialista che tanti danni ha creato in questo Paese. Per ripartire occorre principalmente investire nel lavoro vero, quello animato dallo spirito d’impresa e dal rimboccarsi le maniche. E’ questa l’unica garanzia per il futuro.

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