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Il problema della denatalità

L’Istat ha pubblicato nuovi dati sulla natalità in Italia. Emerge che nel 2023 abbiamo avuto 379.890 neonati, il 3,4% in meno rispetto all’anno precedente. Nel 1964, anno in cui in Italia si raggiunse il massimo storico di nuove nascite, l’anagrafe ne registrò 1.035.207, quasi tre volte le attuali. “Appena” quindici anni fa eravamo a 570mila nascite, numero lontanissimo da quello attuale. Il calo delle nascite è abbastanza omogeneo in tutta Italia, leggermente più accentuato nel Centro e nel Nord. La regione italiana in cui si fanno ancora più figli all’interno del matrimonio è la Sardegna, col 55%.

Altro dato preoccupante è l’allontanamento dalla cosiddetta “soglia di sostituzione”, cioè quel 2,1 figli per donna che garantirebbe il mantenimento della popolazione: siamo quasi alla metà, con l’attuale 1,2.

Ormai anche l’apporto demografico dei genitori stranieri in Italia è sempre più flebile: continuano a calare anche i nati da coppie in cui almeno uno dei genitori è straniero (meno 1,5% rispetto al 2022) e, soprattutto, quelli in cui entrambi i genitori sono stranieri (meno 3,1%). La regione con la più alta incidenza di nati stranieri rispetto al totale è l’Emilia-Romagna (21,9%).

Non è facile individuare una sola causa per questo “inverno demografico”, che è anche – a ben pensarci – “contronatura”: infatti se l’età fertile inizia a 10-12 anni, ci sono ormai quasi vent’anni di distanza dall’età media attuale delle donne italiane al primo figlio (31,7 anni), età che si avvicina sempre più alla menopausa.

C’è indubbiamente un aspetto economico, legato alla difficoltà di trovare un lavoro stabile e ben pagato e di acquisire quindi un’autonomia esistenziale, all’aumento del costo della vita, alla paura di perdere il posto di lavoro. A cui si somma lo scarso supporto pubblico alla natalità e alla gestione della prole, a cominciare dalla carenza di servizi per famiglie, dai problemi con gli asili nido e dall’insufficienza del welfare aziendale. Tema affiancato, però, dall’allungamento dei tempi di formazione o di orientamento dei giovani e quindi anche di uscita dal nucleo familiare di origine.

C’è poi il fatto che il carico nella gestione dei figli sia ancora fortemente sbilanciato sulle donne.

Altro motivo considerevole è il modello di vita occidentale che privilegia la ricerca del piacere rispetto all’assumersi responsabilità: sono ormai lontani i tempi in cui nelle campagne si facevano molti figli per garantirsi manovalanza nei campi. Ma siamo finiti sul fronte opposto, in cui mettere al mondo dei figli è un impegno troppo gravoso e limitante. Numerose indagini evidenziano proprio la difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità, il crescente individualismo, la diffusa insicurezza (compreso il timore di perdita del proprio status sociale), lo scarso spirito di sacrificio, l’incapacità di affidarsi all’altro, l’estrema voglia di libertà e di nuove esperienze.

Un altro aspetto, non secondario, è l’aumento dell’infertilità, che colpisce una persona su sei secondo l’Organizzazione mondiale della sanità e il 15% delle coppie italiane secondo l’Istituto superiore di sanità.

Non va, infine, trascurata l’evoluzione dei modelli familiari, con l’aumento di famiglie costituite da genitori dello stesso sesso.

Di certo, l’inverno demografico costituirà un problema enorme per la nostra quotidianità, ad iniziare dalla previdenza, ma anche dalla riduzione dei servizi, specie nei comuni più piccoli dove già da anni la soppressione delle scuole porta all’emigrazione forzata di quei pochi nuclei familiari con prole.

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