
Un fattore non analizzato a sufficienza, relativo alle ultime elezioni regionali, è quello dell’astensionismo. Si è parlato tanto dei vincitori, ma poco delle vittorie sempre meno legittimate da un voto di massa.
Ormai ad ogni tornata elettorale si mette in evidenza il calo della percentuale dei votanti, liquidando il fenomeno come una “naturale crescita della disaffezione al voto”, al limite aggiungendo che “da tempo la democrazia non gode di buona salute”.
Alle ultime elezioni, però, si è assistito ad un vero e proprio crollo della partecipazione, specie in Emilia-Romagna dove si è passati dal 67,7 per cento delle amministrative del 2020 al 46,4 per cento del 2024. Cioè più di 20 punti in meno, appena un milione e 600mila votanti su tre milioni e 570mila aventi diritto.
In Umbria le cose non sono andate differentemente: i punti in meno sono stati oltre dodici (52,3 contro 64,7 per cento): la Proietti è diventata governatrice con 182.396 voti su 701.367 possibili.
In Liguria poco più di sette punti in meno (46 contro 53,4 per cento).
Non va dimenticato quanto successo nel Lazio e in Lombardia lo scorso anno.
Nel Lazio la percentuale dei votanti si è quasi dimezzata, passando dal 66,5 per cento del 2018 al 37,2 per cento del 2023.
In Lombardia le cose non sono andate meglio: dal 73,8 per cento del 2018 al 41,6 per cento dello scorso anno. Oltre 32 punti in meno.
Il disinteresse crescente verso il diritto-dovere del voto ha molteplici cause.
I crescenti poteri transnazionali scavalcano e annullano quelli nazionali, persino il ruolo dell’Unione europea è sempre più avvertito come “un’ingerenza” da tanti cittadini (si pensi alla diffusa insofferenza per le norme cosiddette “ambientaliste”, dal motore elettrico alle case green). Altro vulnus è rappresentato dalla globalizzazione che continua a depotenziare le istituzioni locali, proprio mentre i cittadini necessitano di prossimità amministrativa. Ancora, la rivoluzione “fluida” determinata dalle nuove tecnologie sta stravolgendo gli assetti sociali e imponendo la disintermediazione: le istituzioni politiche – e quelle parlamentari in particolare – sono vissute come vecchie, lente e fuori tempo rispetto ai ritmi della contemporaneità.
Le passioni di massa sono soltanto un ricordo e attualmente, nella maggior parte dei casi, chi governa lo fa con il supporto di un cittadino su cinque. E chi va all’opposizione gode di ancora meno consenso.
Ma la rinuncia alla partecipazione diretta è ascrivibile anche al sempre più diffuso nichilismo, figlio dei tempi, cioè a quell’atteggiamento di dare sempre meno importanza ad alcuni valori tradizionali, dall’etica alla fede, dai legami e dalle relazioni fino, appunto, alla rappresentanza e alla mediazione, cardini della democrazia, preferendo le emozioni effimere. Una crisi, in questo caso, che parte da lontano, dall’appannamento delle ideologie dopo i tormentati anni Settanta e dalla conseguente stagione del “disimpegnato” riflusso negli anni Ottanta, coronati poi dal crollo del Muro di Berlino e dalla fine delle contrapposizioni da “guerra fredda”.
Con lo scolorirsi delle tradizionali dottrine politiche, difese ed alimentate negli scorsi decenni da partiti ben organizzati e presenti in modo capillare lungo tutto lo Stivale (attraverso sezioni, case del popolo, organi d’informazione, scuole politiche, associazionismo), sono crollate anche quelle aspettative di massa che hanno caratterizzato in particolare gli anni della Prima Repubblica. La rigida appartenenza ha lasciato il posto a valutazioni più flessibili, che premiano tendenzialmente la persona, la sua immagine, il suo grado di efficienza, il suo pragmatismo: quando l’offerta non è in linea con le aspettative, si preferisce rinunciare alla partecipazione.
Nei decenni a seguire si è assistito ad alcuni fenomeni che hanno riportato per un periodo la gente a votare, ma basati su nuove parole d’ordine e inediti vessilli, ad esempio incentrati sull’identità territoriale (la Lega Nord di Bossi) o sull’antipolitica (i “Vaffa” di Grillo).
Sono dati su cui riflettere perché segnano un pericoloso arretramento dei principi democratici.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
