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La questione della povertà assoluta

L’Istat certifica che la povertà assoluta è in rapida crescita nel nostro Paese. Nel 2020, con 5,6 milioni di persone povere (due milioni di famiglie, cioè il 7,7 per cento del totale, in crescita dal 6,4 per cento del 2019), abbiamo stabilito il record dal 2005, inizio delle serie storiche. A questi numeri occorre aggiungere la povertà relativa: le famiglie in povertà relativa sono poco più di 2,6 milioni, qui va un po’ meglio, passando la percentuale dall’11,4 al 10,1 per cento in un anno.

L’incidenza dei cittadini stranieri nella povertà assoluta è rilevante: lo sono il 29,3 per cento, mentre tra gli italiani siamo al 7,5 per cento.

Sono numeri che ogni politico dovrebbe avere in cima alla propria agenda: un Paese civile non può ignorare questo dato.

Tra l’altro, andando nel dettaglio si scoprono due realtà che dovrebbero accentuare l’attenzione e le preoccupazioni: il peggioramento è soprattutto nel Nord Italia e riguarda principalmente le fasce d’età più giovani. Sono due indicatori che fanno suonare il campanello d’allarme per il futuro.

L’ex premier Conte, nelle ultime ore, ha rivendicato la bontà del “suo” reddito di cittadinanza. Certamente è un contributo che allevia tante situazioni di bisogno. Tuttavia l’intervento non può essere unicamente assistenziale, perché equivale alla classica toppa su un buco che si allarga. Servono provvedimenti strutturali. E per evitare che una quota sempre più rilevante di italiani sopravviva, di fatto, grazie al sostegno dell’altra parte del Paese, accentuando anche la conflittualità sociale, occorre rilanciare la crescita, che equivale a inclusione e lavoro.

Il ruolo dell’imprenditoria, in questo senso, è essenziale. L’Italia del boom ha visto la nascita e l’affermazione di un altissimo numero di imprese che hanno imposto il “made in Italy” nel mondo. Negli ultimi anni la mancanza di politiche industriali – ed economiche in genere – ha portato alla desertificazione e alla svendita di buona parte del tessuto produttivo nazionale. Siamo stati incapaci, in buona parte, di innovare, di internazionalizzare, di vincere la sfida della mondializzazione.

L’occasione del Recovery deve servire principalmente per veri investimenti per il futuro, a cominciare dalle infrastrutture e dal “fare impresa” e non per l’ennesimo spreco di risorse in favore dei soliti gruppi affaristici territoriali. Dobbiamo prendere coscienza che siamo di fronte ad un’opportunità che difficilmente si ripresenterà nei prossimi anni.

Domenico Mamone

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