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Questione di “maturità”

I quattro ragazzi che, affrontando l’orale all’esame di maturità, hanno deciso di non rispondere alla prova e di motivare il loro rifiuto, hanno compiuto un gesto clamoroso, non solo per un atteggiamento decisamente singolare di sottrazione e di “resistenza” – che hanno motivato con la ricusazione verso l’attuale formula della prova orale – ma soprattutto perché accende un faro su una generazione di cui si parla decisamente poco, nonostante sia una delle più problematiche da tempo infinito. Con la stagione del Covid che ha accentuato criticità determinate in primo luogo dalle nuove tecnologie che tendono ad annientare le sane relazioni umane tra i pari, isolandoli e rendendoli di fatto dei soggetti prevalentemente passivi.

Non deve essere stato certamente facile per i quattro giovani – tre veneti e un toscano – che hanno scelto la strada più difficile, la rinuncia ad un voto più elevato (erano comunque certi di essere promossi avendo già acquisito almeno la sufficienza). Un clamoroso gesto di protesta verso l’attuale orale, giudicato inidoneo a valutare la maturità di un ragazzo appena maggiorenne. Sotto accusa, in sostanza, gli attuali “meccanismi di valutazione scolastici, l’eccessiva competitività e la mancanza di empatia del corpo docente”, come ha spiegato uno dei quattro.

Certo, si tratta di recriminazioni che in fondo non sono dissimili da quelle di altre generazioni. L’esame di Stato ha costituito da sempre un terno a lotto soprattutto per i voti, che raramente hanno rispecchiato – nel bene o nel male – il percorso scolastico dello studente. La stessa logica del “voto” è stata spesso contestata, mentre altri l’hanno “recuperata” come fattore di selezione e di merito. Ovviamente i numeri non potranno mai costituire lo specchio fedele delle qualità, spesso nascoste, di un esaminando. E giudicare un percorso di cinque anni in qualche manciata di minuti è sicuramente intricato e fuorviante.

Al di là dei singoli, significativi, audaci gesti, con la speranza che negli anni futuri non diventino un fenomeno più esteso che rischia di spettacolarizzarne e banalizzarne la portata nell’emulazione, i “coraggiosi” maturandi – quattro su 500mila – sono di fatto passati sull’altra “sponda” della scrivania bocciando non soltanto la maturità ma l’intera istituzione scolastica, compresi gli stessi professori a dir loro “poco empatici”. E sappiamo quanto sia decisivo il ruolo del docente nel rendere “digeribile” o meno una materia o la stessa frequenza scolastica.

Il gesto dei quattro ragazzi c’interroga non tanto sul “rito” dell’attuale esame di maturità, frutto da anni di cambiamenti e soprattutto di compromessi spesso fallimentari, quanto sulla nostra sempre più complessa quotidianità che ha riflessi sull’istruzione, sull’educazione, sulla formazione e – l’aspetto più complicato – su una generazione che, nel complesso, si considera in gran parte “depressa”, senza sogni per il futuro, agganciata ad una realtà virtuale certamente più “protetta” e meno problematica di quella reale.

Le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale stanno alterarndo ulteriormente la conoscenza tradizionale e il suo apprendimento, con strumenti ormai differenti e lezioni sempre più mediate da ChatGpt. Sarà meglio, sarà peggio? Difficile rispondere. Di fatto viviamo un’epoca di profondissimi cambiamenti che rischiano di rendere sempre più inadeguato chi sta in cattedra, ma anche chi gestisce le istituzioni scolastiche. Il futuro della scuola è strettamente connesso con quello della società in genere e dello stesso apparato produttivo, che senza etica rischia di apportare più danni che benefici.

Ma il nodo vero sono i problemi crescenti di intere generazioni, strette tra difficoltà di apprendimento con i metodi tradizionali, crisi identitarie, contesti familiari sempre più critici, disturbi alimentari, fluidità sessuale. Se ne parla troppo poco e non possiamo affidare ai soli psicologi o ai servizi sociali l’onere di affrontare l’emergenza. La politica che fa? Le “famose” istituzioni sanno soltanto parlare di riarmo? Rischiamo di perdere per strada le sole risorse per il nostro futuro, i giovani, comprese quelle che dovranno sostenere il nostro sistema produttivo.

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