
Tra i dibattiti accesi dalla Manovra del governo, primeggia (nientemeno) che quello sui “ricchi”. Secondo buona parte dell’opposizione, la legge di Bilancio avrebbe fatto “un regalo” proprio a questa classe sociale, da sempre nel mirino dei “progressisti”. Sui banchi del processo pubblico c’è la riduzione della seconda aliquota Irpef, quella sui redditi fra 28 e 50mila euro, dal 35 al 33%. Draghi, con un governo che inglobava buona parte delle attuali opposizioni di sinistra (ci siamo dimenticati i ministri Di Maio, Orlando, Patuanelli, Speranza?) la portò dal 38 al 35%, allora con un beneficio massimo di 765 euro, contro i 440 di oggi. Memoria corta di tanti capipopolo.
Il dibattito è “arricchito” da altre due proposte, che hanno nel Pd, in Avs e nella Cgil i principali sponsor: il rilancio della “patrimoniale” e l’inasprimento delle tasse di successione nel nome della “ridistribuzione” della ricchezza.
Una belligeranza non nuova e prettamente ideologica, mossa da alcuni settori politici galvanizzati dai risultati delle urne a New York (realtà totalmente differente dalla nostra, salvo forse Milano) e dalle analisi diffuse giovedì scorso dall’Istat e dall’Ufficio parlamentare di bilancio.
Un primo nodo del dibattito riguarda l’identikit del “ricco”. La riduzione dell’aliquota dal 35 al 33%, come ricorda l’economista Luigi Marattin, interessa “i due quinti più ricchi della distribuzione Irpef”, che partono “da chi guadagna anche 1.900 euro lordi al mese, cioè circa 1.400 netti”. Negli altri tre quinti sono compresi quelli che dichiarano meno di 28/29mila euro. Costoro possono davvero essere definiti “ricchi”?
Indubbiamente, come ha evidenziato la Corte dei conti, a beneficiare del taglio su quello scaglione ci sono anche contribuenti con redditi oltre i 50mila euro. Qui il governo, per evitare le polemiche, avrebbe potuto certamente mettere un tetto, ad esempio ad 80 o a 100mila euro lordi. Va però aggiunto che i guadagni oltre i 50mila euro, cifra non proprio da nababbi, vengono tassati al 43%, una “unicità” tipicamente italiana.
Riguardo all’inasprimento delle tasse di successione, va detto che il patrimonio di ogni famiglia – costituito in genere da appartamenti e risparmi – è già ipertassato, per cui tassare l’eredità costituirebbe l’ennesima e gravosa imposizione fiscale da cui il cittadino comune non può mai difendersi. Chi ha case da lasciare in eredità si può davvero definire “Paperone”? Occorre ricordare, in proposito, che milioni di famiglie vorrebbero liberarsi di vecchie e ormai inutili abitazioni ereditate nei paesi d’origine, specie nelle aree montane, ma ovviamente non si riescono a vendere e continuano a costituire una costosa zavorra, tra varie tasse – comprese Imu e Tari – e spese di manutenzione.
Veniamo alla “patrimoniale”. Se fosse destinata a quella esigua minoranza di miliardari, questi non avrebbero probabilmente problemi a spostare i propri patrimoni con un semplice click, dall’intestazione nominale dei beni immobili alla liquidità. Ben sapendo che buona parte di quei patrimoni si trova già in paradisi fiscali. Non a caso laddove è stata applicata la patrimoniale, si è dovuti tornare indietro. Un esempio emblematico: nel 2012, per evitare le alte imposte francesi, il celebre e ricchissimo attore Gérard Depardieu si trasferì in Belgio e poi in Russia. Lo stesso avvenne in Italia con la tassazione delle barche di lusso che, con il loro conseguenziale spostamento all’estero, determinò la crisi di molti porti turistici. L’aumento delle tasse ha determinato la fuga di tante unità produttive all’estero, in Paesi fiscalmente più convenienti, con danni per il lavoro e per il benessere di tanti storici distretti industriali del nostro Paese. Perché il punto è anche questo: i ricchi, volenti o nolenti, costituiscono un perno essenziale per il benessere collettivo e per l’economia in genere, in quanto soltanto per la gestione e la cura dei loro beni garantiscono lavoro anche a quel comparto del lusso che è una delle bandiere del “made in Italy”. Ed ancora: se una persona è stata capace di accrescere onestamente le proprie ricchezze, quasi sempre creando posti di lavoro, perché dovrebbe versare ulteriori tasse “patrimoniali” oltre a quelle già rilevanti che sborsa?
Il provvedimento adottato dal governo Renzi di applicare una tassa forfettaria a benestanti stranieri intenzionati a trasferirsi in Italia, ha garantito oltre cinquemila arrivi di “ricchi” che hanno alimentato l’economia di molti comuni, ad esempio in Toscana, dal mercato immobiliare ai posti di lavoro per la sua gestione. Oltre a restaurare dimore storiche.
C’è poi la categoria dei “ricchi” non miliardari, diciamo milionari. A sobbarcarsi la patrimoniale, in questo caso, sarebbero quelli già noti al fisco, che non evadono e che già pagano onestamente le tasse (tra le più alte d’Europa). Cioè quei tre milioni di contribuenti – su 42,5 milioni totali – che da soli versano oltre il 40% dell’intera Irpef. Perché strozzare di tasse proprio loro che già contribuiscono pesantemente al benessere generale?
Altra domanda: “ridistribuire” la ricchezza significherebbe poi alimentare l’assistenzialismo – vedi redditi di cittadinanza e altro – cioè aiutare non chi si dà da fare, ma chi, salvo eccezioni, preferisce vivere di rendita grazie all’intraprendenza e ai sacrifici altrui?
Non dimentichiamo, infine, che in questa area ideologica della “giustizia sociale” (a parole) sono stati scovati politici che, nonostante possessori di barche e vestiario di lusso, usufruivano di tanti benefici tra cui il pagamento di affitti irrisori in genere riservati a chi povero lo è davvero.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
