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Ripristinare le regole al capitalismo

Soffermandoci nell’ambito economico e produttivo, le conseguenze della crisi sanitaria di questi giorni conferma come la vulnerabilità del nostro sistema capitalistico sia rappresentata principalmente dall’avere sempre meno regole. Pur essendo animati, come imprenditori, dall’operosità e dall’ottimismo, non possiamo però ignorare le delocalizzazioni selvagge, le egemonie unilaterali, i processi di finanziarizzazione che insabbiano gli aspetti produttivi e l’economia reale, le speculazioni globali che sopprimono le radici stesse delle relazioni umane. Sono soltanto alcuni dei fenomeni che stanno producendo disastri sempre più incontrollabili proprio perché impermeabili alle regole.

In particolare, soffermandoci sui problemi di natura produttiva di un mondo sempre più interconnesso, ci viene in mente il tema delle cosiddette “piattaforme”, per richiamare il fortunato saggio “Platform capitalist” di Nick Srnicek di qualche anno fa, che ha delineato l’orizzonte su cui si stanno imponendo i nuovi scenari della società umana, con i loro variabili rapporti di forza e la presenza di sempre più sfuggenti intermediari.

In sostanza, da una parte c’è un tessuto industriale sempre più automatizzato e parcellizzato, che dà vita a prodotti frutto di assemblaggi di componenti provenienti da diverse realtà produttive, collocate anche a distanza di migliaia di chilometri tra loro. Ciò sta palesando tutti i limiti conseguenti alla crisi di una sola tessera del mosaico: nelle aziende del Nord Italia non arrivano più i componenti dalla Cina? Quelle tedesche, di conseguenza, soffrono della mancanza di componentistica italiana. E così via.

Parallelamente le grandi multinazionali ormai globali, dalla struttura sempre più flessibile e “liquida”, per citare Bauman, hanno il loro business nell’universo virtuale del web, riuscendo spesso ad eludere le regole, anche fiscali, del nostro mondo reale. Inoltre il loro monopolio in specifici settori produttivi è certamente una distorsione del mercato.

Un ruolo sempre più centrale è rivestito anche dalla finanza, che rappresenta il vero polmone monetario, e come tale anche di governance di società e democrazie i cui assetti tradizionali sono sempre più in crisi.

A tutto ciò si somma il business dei dati, in mano proprio ai gruppi più forti, che hanno così modo di consolidarsi ulteriormente grazie alla padronanza sui comportamenti dei cittadini-consumatori.

Il coronavirus, che nella repentina penetrazione conferma quel “villaggio ormai globale” profetizzato da Marshall McLuhan, dovrebbe orientare società malate verso il recupero di una sana socialità e di nuovi modelli di business che tengano principalmente conto della componente etica.

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