
In questi giorni ricorre il centenario della nascita di uno dei più autorevoli e stimati esponenti della Prima Repubblica, il repubblicano fiorentino Giovanni Spadolini.
Storico, accademico, giornalista, politico, ateo, studioso di chiara fama, autore di numerosi saggi, a soli 29 anni è stato direttore de Il Resto del Carlino, mantenendone la direzione per 13 anni, per poi diventare direttore del Corriere della Sera. Il preside di Scienze politiche a Firenze istituì appositamente per lui una cattedra in Storia contemporanea. Per 18 anni (dal 1976 alla scomparsa) è stato presidente del consiglio di amministrazione dell’Università Bocconi di Milano e nel 1990 è stato nominato presidente dell’Istituto italiano per gli studi storici, fondato da Benedetto Croce
Spadolini è stato, quindi, soprattutto un intellettuale prestato alla politica, primo presidente del Consiglio non democristiano nella storia repubblicana (dal 1981 al 1983), presidente del Senato dal 1987, nonché segretario del Partito repubblicano italiano per quasi un decennio.
Tra le curiose medaglie politiche conquistate dallo statista fiorentino, l’aver portato il Pri oltre il 5% dei voti (terzo partito a Torino) e aver battuto Bettino Craxi nella sua Milano per numero delle preferenze.
L’occasione dell’anniversario della nascita è stata colta da molti studiosi per rievocare, non senza vene nostalgiche, la figura di un intellettuale puro con grandi qualità amministrative ed organizzative. Così lo ricorda, ad esempio, sul Corriere della Sera di oggi Giorgio La Malfa, economista e parlamentare repubblicano per oltre quarant’anni, figlio di Ugo, ininterrottamente deputato dal 1948 fino al 1979, anno della sua morte.
La Malfa, mettendone in evidenza il prototipo dell’intellettuale puro – una precoce carriera universitaria, una vastissima produzione di libri e di articoli scientifici, una conoscenza storica impressionante dal Risorgimento ai giorni nostri – ne ricorda aneddoti personali, in quanto, entrambi parlamentari, viaggiavano insieme fra Milano a Roma per andare in Parlamento «Spadolini portava con sé una borsa piena di manoscritti e di bozze su cui lavorava furiosamente – ricorda La Malfa – e alla stazione di Firenze consegnava tutte queste carte a Cosimo Ceccuti, che era allora un suo giovane assistente, e ne ritirava altrettante su cui riprendeva a lavorare fra Firenze e Roma».
Davvero altri tempi. E rievoca la chiamata di Spadolini al vertice del ministero dei Beni culturali nel 1975, dicastero che contava poco, essendo anche senza portafoglio. Spadolini convinse il premier Moro che era venuto il momento di costituire un vero ministero e ottenne che si procedesse con un decreto-legge – una procedura a quel tempo inconsueta. «Non volle che si chiamasse ministero della Cultura che è roba – diceva – da Paesi totalitari, né ministero dei Beni culturali perché lo Stato non è il padrone. Impose il nome di ministero per i Beni culturali, intendendo così un obbligo dello Stato a proteggerli e valorizzarli». In pochi mesi ottenne anche il trasferimento al nuovo ministero di interi pezzi del ministero della Pubblica istruzione: gli archivi, le biblioteche, le sovrintendenze. «Sabino Cassese può spiegare quanta energia serve per portare a buon fine un’operazione di questo genere – commenta giustamente La Malfa.
Come ministro, scrive ancora il compagno di partito, «sapeva tutto, controllava tutto e soprattutto anticipava le mosse ostili dei suoi principali ministri”. E chiosa: «Proprio queste qualità amministrative e organizzative unite alle doti intellettuali spiegano perché Spadolini è stato un formidabile uomo delle istituzioni».
Il filosofo sannita Corrado Ocone, tra i massimi studiosi dell’opera di Benedetto Croce, su Libero di oggi definisce Spadolini «l’intellettuale che unì politica e cultura”, uomo di mediazione e compromesso, «prima di tutto fra le diverse culture politiche che avevano dato vita alla Costituzione”. Ricorda: «Dal comunista Gramsci al liberale rivoluzionario Gobetti, dal democratico Amendola al socialista Salvemini, dai liberali Croce e Einaudi ai cattolici Sturzo e De Gasperi, fino al conservatore Prezzolini, di cui era amico, egli in ognuno dei ‘padri’ trovava elementi positivi da valorizzare. Era l’Italia della ragione, per usare una sua formula, che contrapponeva a quella dei manicheismi e delle faziosità».
Nella biografia “Giovanni Spadolini. L’uomo politico risorgimentale” che esce in questi giorni per Rubbettino, i due autori Giancarlo Mazzucca e Federico Bini lo definiscono «un conservatore liberale e illuminato, un conservatore progressista».
In tutte queste attenzioni si conferma la stima per uno dei migliori statisti che l’Italia abbia avuto, apprezzato per la sua infinita propensione allo studio, per l’approfondita cultura e per la passione civica. E non va dimenticato che lui e il suo partito sono stati tra i pochi immuni dalla bufera di Tangentopoli. Forse non a caso c’è tanto rimpianto proprio in questi tempi.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
