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La Tav e l’Italia del sì

Domenico MamoneC’è chi rievoca la storica “marcia dei 40mila” di Torino, quando impiegati e quadri della Fiat diedero vita il 14 ottobre 1980 ad un silenzioso corteo di protesta contro i sindacalisti che impedivano loro da settimane di entrare in fabbrica. Un’iniziativa che ha contribuito non poco a cambiare definitivamente le contrattazioni di lavoro e ad indebolire gradualmente il ruolo dei sindacati dei lavoratori nel nostro Paese.

La vicenda della Tav, qualora animasse un ampio fronte “visibile” – fatto per lo più di gente comune, commercianti e piccoli imprenditori – a favore della grande opera, potrebbe certamente rappresentare l’ennesima legnata per i Cinquestelle, dopo in particolare i “pasticci” in Puglia (Ilva e Tap), ma anche altri “groppi in gola” ben ricordati dalla senatrice pentastellata dissidente e pasionaria Elena Fattori, come l’elezione di una berlusconiana doc in Senato, i condoni fiscali ed edilizi, persino il patto con la Lega. Del resto si allarga giorno dopo giorno la fronda dei malumori interni al movimento di Grillo, che ovviamente garantiscono nuova linfa alle ambizioni future di Salvini e dei suoi.

Il problema è strettamente politico. Al di là dei contratti di governo, le “anime” dei due alleati d’esecutivo divergono proprio sui temi economici e infrastrutturali.

La Lega, rappresentando maggiormente il mondo dell’imprenditoria e del Nord in genere, ha nel suo dna il sostegno alle opere strategiche per i commerci e lo sviluppo, specie nell’epoca in cui la Cina lastrica mezzo mondo con la nuova Via della seta. Ed in questo riemergono analogie ideologiche e di portafogli con la destra berlusconiana. Le analisi costi-benefici ad opera del ministero delle Infrastrutture per una decina di grandi opere, tipo il Terzo valico ferroviario tra Milano e Genova, costituiscono in realtà soltanto una legittimazione tecnica rispetto ad una questione prettamente politica: Salvini non potrà certo assistere inerme ad eventuali ostracismi verso la Pedemontana veneta, particolarmente cara al governatore Zaia, o all’Alta velocità Brescia-Padova, alla Pedemontana lombarda o al tunnel del Brennero.

I grillini, da parte loro, non possono deludere un altro pezzo di proprio elettorato ambientalista e antiglobalista, dopo le bandiere a cinque stelle bruciate soltanto qualche giorno fa a Melendugno a causa del presunto “tradimento”. Ma se la strutturata Lega di Salvini, grazie in particolare alle esternazioni sul tema dell’immigrazione, sopravanza nei sondaggi rispetto al 17 per cento conquistato a marzo, i Cinquestelle sono in evidente difficoltà sia perché cominciano ad esplodere le contraddizioni interne in un movimento senza cemento ideologico sia perché il consenso per i sindaci pentastellati – da Roma a Torino – è in caduta libera.

Sulla Tav, insomma, si gioca uno scontro che va al di là dei conti da ragioniere sul rapporto tra costi e benefici per l’opera.

(Domenico Mamone)

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