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La tempesta

Domenico MamoneNell’editoriale sul quotidiano La Stampa di oggi, Marcello Sorgi fotografa il destino dell’Italia con una metafora presa in prestito da un bel film del 2000, “La tempesta perfetta”, con George Clooney. La storia narrata dalla pellicola è quella di un gruppo di marinai reduci da un’eccezionale battuta di pesca, ma con il problema della rottura della macchina del ghiaccio per conservare il prezioso carico (che, nel caso degli attuali politici al governo, sarebbe costituito dai tanti voti presi dal Nord al Sud). Due le opzioni: o lasciare perdere il guadagno e tornare in porto con la solita tranquilla rotta o, viceversa, azzardare un percorso più breve, come fanno, rischiando la vita. E questo avviene, tragico finale compreso.

Per quanto allarmista, anzi catastrofista, la trama del film offre amari spunti alla nostra analisi del momento politico, in linea con quanto andiamo scrivendo da settimane.

L’Italia, non ce lo scordiamo, è indebitata fino al collo. Certo, ci si potrebbe chiedere perché si è arrivati fino a questo punto (e in parte lo abbiamo ricordato in precedenti interventi). E perché gli ultimi governi tecnici e politici “del risanamento” hanno in realtà accumulato altre centinaia di miliardi di debito (e l’Europa, salve qualche cartellino giallo, è rimasta a guardare). E soprattutto chi sono i “galantuomini” creditori che hanno in pugno il debito italiano e mondiale, signori in carne ed ossa di cui non si parla mai. Tutto giusto. Ma, per quanto pressati e bocciati da poteri trasversali, da agenzie di rating, dagli euroburocrati della Commissione, dai mercati, da speculatori di ogni sorta, non possiamo permetterci di tirare il sasso proprio perché non siamo senza peccato. In Italia si continua a scialacquare, con incoscienza, e la famosa spending review è rimasta nei cassetti, con i centri di spesa pubblici da ridurre, con le province da abolire, le partecipate da cancellare, le regioni da accorpare. Meglio intervenire subito su questo enorme livello di “spendificio”, con sottobosco di clientele e di malaffare, evitando che si passi direttamente alle tasche degli italiani.

Il rischio concreto, infatti, è che a pagare questo gioco pericoloso al massacro siano le famiglie o le imprese italiane con i loro beni e i loro risparmi, l’unica ricchezza in fase di “adocchiamento” dall’alto per restituire ossigeno al Paese e garantire il perpetuarsi dei tanti privilegi. Leggasi, amaramente, “patrimoniale”.

Una prospettiva davvero funesta, perché colpisce soprattutto il ceto medio e non i grandi capitali, in genere al sicuro all’estero. E a ben leggere le motivazioni dell’outlook stabile certificato da Moody’s, un’ipotesi non proprio aleatoria: “la debolezza sulla componente fiscale del merito di credito del Paese è bilanciata da un’economia diversificata, con imprese capaci di generare un surplus commerciale e un risparmio delle famiglie in grado di costituire un ‘cuscinetto’ nei confronti delle potenziali necessità del governo”. Più chiaro di così.

In queste settimane, causa soprattutto lo spread attestatosi sopra i 300 punti, stiamo distruggendo altra ricchezza a causa della maggiore spesa per interessi. Ciò significherà incrementare obbligatoriamente il carico fiscale, tagliare ulteriori servizi, mettere a rischio il settore creditizio. Lo scopo? Garantire – non dimentichiamocelo – qualche modesto beneficio (con sorpresa) ad una sparuta minoranza di italiani, cioè a qualche sessantenne che potrà andare prima in pensione e a qualche disoccupato, ammesso che lo sia realmente. Certo, c’è anche la politica, l’euroscetticismo, la lotta contro gli eurotecnici di Bruxelles. Ma sarebbe stato più prudente e lungimirante aprire – anche legittimamente – quel capitolo dopo le elezioni europee, a fronte di eventuali nuove maggioranze nei Palazzi europei.

La conseguenza di questi due ormai noti provvedimenti dovrebbe essere rappresentata da una promettente crescita. Ma sappiamo che ciò è irrealistico soprattutto per i crescenti problemi contingenti, dal rallentamento dell’economia mondiale (ad iniziare da quella cinese) alla fine del quantitative easing in Europa fino alle tombali zavorre, tipicamente italiane, che continueremo a portarci dietro e che frenano la nostra produttività, dal soffocante apparato burocratico ad un fisco aggressivo e iniquo, dalla scarsa capacità di innovazione e internazionalizzazione all’endemica carenza di investimenti in capitale umano. Lega e Cinquestelle la loro rivoluzione farebbero bene ad iniziarla da questi annosi problemi, vero freno alla crescita.

(Domenico Mamone)

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