martedì , Luglio 16 2024
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Lavoro e lavori

In questo numero di InfoImpresa, parliamo di nuovo molto di occupazione, e della guerra dei numeri sugli occupati. Quando leggerete quest’editoriale, il referendum sarà stato superato, gli italiani si saranno espressi secondo democrazia, e i dati economici, speriamo, potranno essere letti nuovamente in maniera più tecnica e obiettiva. Noi crediamo che sia saggio assumere un atteggiamento quanto più possibile scevro da partigianeria politica: la riforma sul lavoro ha mostrato punti interessanti, ma non è miracolosa. Il governo economico del Paese richiede una più ampia e complessiva visione, che senza dubbio mette in gioco tutta una serie complessa di fattori. Come imprenditori, e anche in maniera specifica come imprenditori del settore dei servizi alle aziende e alle persone, crediamo che non debbano esserci incertezze nel promuovere un mondo del lavoro basato sulla conoscenza, la formazione continua e l’aggiornamento tecnologico. In questo senso, ci colpiscono non tanto le critiche al “Jobs Act” che invocano forme di garanzia al posto di lavoro, più che al lavoratore, che comunque hanno sempre riguardato gli impiegati delle grandi aziende e non tutta la platea dei dipendenti. Ci colpiscono di più le critiche che segnalano un ritardo nella costruzione di una grande rete di servizi, sul modello tedesco o scandinavo, per esempio, che tutelino, anche con garanzie in forme aggiornate a beneficio dei lavoratori, ma soprattutto con azioni di formazione e di istruzione, accrescendo il valore di ogni persona dal punto di vista delle competenze e delle conoscenze.  Ci preoccupa che i lavoratori che devono fare i conti ogni giorno con il mercato, che è sempre più veloce e competitivo, siano giovani o siano anziani, non siano messi in condizione di esprimere le loro capacità e potenzialità. Questo ha evidenti ragioni pratiche, anche senza voler declamare un sermone sulla responsabilità sociale dell’impresa (argomento serissimo, quello delle responsabilità dell’imprenditore, ma che è bene praticare molto senza farci su troppa retorica): la produzione ha bisogno, sempre di più, di lavoro qualificato. Che sia formato in azienda, con gli strumenti della formazione continua, che sia forgiato fuori, nelle scuole e nei centri di formazione, il collaboratore che dispiega le sue competenze avrà sempre qualcuno che lo cerca, e, perché no, potrà difendersi meglio anche da eventuali pratiche vessatorie. Per questo, sia detto per inciso, nonostante l’aria che tira nel mondo, vento di alzare muri e blindare frontiere, pensiamo che il lavoro dei migranti debba essere piuttosto meglio tutelato, affinché questi non siano un esercito di riserva dequalificato e ricattabile, ma una risorsa in più in un mercato del lavoro aperto nelle opportunità e trasparente nella legalità. Altra questione, la creazione di impresa, e l’autoimprenditorialtià. Le cifre sugli occupati quasi sempre mettono in ombra la dimensione autonoma del lavoro. E, naturalmente, non stiamo parlando “padroni delle ferriere”, ma di giovani a partita Iva, nuove professionalità, oppure lavori tradizionali che ritornano a meritare attenzione e centralità, dal coltivatore all’artigiano, magari tecnologicamente avanzato. Perché i progressi tecnologici fanno sì che quello che ieri era possibile solo nella grande fabbrica, oggi lo sia anche, e persino ancora meglio, nel piccolo laboratorio. Rifiutiamo l’idea, sottintesa in molte delle polemiche a cui assistiamo quotidianamente, che questo mondo sia soltanto costituito da dipendenti sfruttati che non ricevono il meritato posto fisso, o da sfortunati che devono, per la stessa ragione, arrangiarsi alla meno peggio con qualche invenzione. Nell’incubazione delle nuove aziende, nella scelta coraggiosa (e che proprio per questo va sostenuta e aiutata) dei giovani che si mettono in proprio, nella ricerca di nuovi percorsi di lavoro e tempo di vita, che escono dal ritmo produttivo cadenzato del ‘900, c’è un universo di creatività e di speranze a cui vogliamo dare ascolto e attenzione.

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