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Le agitazioni dei lavoratori (e quelle della politica)

MamoneL’ennesima conferma delle epocali trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e della rappresentanza sindacale viene dalla pioggia di dichiarazioni contro lo sciopero dei trasporti attuato nella giornata di venerdì. Ha iniziato Luigi Gubitosi, commissario straordinario di Alitalia, definendo “da irresponsabili” l’agitazione dei trasporti, che ha coinvolto anche la sua compagnia. Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture e Trasporti, in un’intervista al quotidiano “La Repubblica” auspica un cambiamento delle regole dello sciopero. “Bisogna intervenire per evitare che una minoranza di lavoratori tenga in ostaggio una maggioranza di cittadini nelle loro esigenze quotidiane. Questi sono i danni di una situazione inaccettabile – è la sua testuale affermazione. L’ex premier Renzi parla di “scandalo che va regolamentato”: del resto il segretario del Pd già in passato ha mostrato insofferenza verso le decisioni dei sindacalisti, come quando il 18 settembre 2015, mentre i siti archeologici più importanti della Capitale restavano chiusi per lo sciopero degli addetti, twittava stizzito: “Non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti che sono contro l’Italia”.

Certe dichiarazioni, solo qualche anno fa, avrebbero scatenato corali reazioni contro gli attacchi al “diritto costituzionale di sciopero”, che comunque non è stato messo in discussione nelle affermazioni degli esponenti politici. Tuttavia i partiti, sempre più in crisi nei rapporti con la propria base elettorale e con una cittadinanza disillusa e disaffezionata, cercano – in cerca di facili consensi – di intercettare e far propri gli umori della piazza: l’insofferenza degli italiani – che già cresce di suo – è un fattore di grande presa e include, oltre all’onnipresente tema della sicurezza, anche l’irritazione verso i disservizi accentuati dalle giornate di sciopero.

Se in passato i diritti dei lavoratori costituivano un tema intoccabile per la politica, anche temendo le reazioni dei sindacati, oggi in qualche modo l’argomento è stato sdoganato. Chissà cosa ne penserebbe Pietro Calamandrei, che reputava lo sciopero “un mezzo per la promozione dell’effettiva partecipazione dei lavoratori alla trasformazione dei rapporti economico-sociali”.

Un’altra conferma del clima di ostilità verso la protesta dei lavoratori dei trasporti viene dallo scarso peso che i media riservano alle motivazioni dello sciopero: ci si sofferma ampiamente sui disagi, si riportano le dichiarazioni degli esponenti politici, si trascurano le ragioni della protesta. Sembra davvero lontana la celebre frase di Frederick Douglass, il politico afroamericano che nell’Ottocento sentenziò: “Se non c’è lotta, non c’è progresso”.

Una prima cesura con la lunga stagione dell’intoccabilità delle proteste, è bene ricordarlo, avvenne all’inizio degli anni Ottanta, esattamente il 14 ottobre 1980, quando la celebre marcia dei 40mila impiegati e quadri della Fiat a Torino sconfessò i picchetti che da 35 giorni impedivano loro di lavorare. Quella data, almeno per gli analisti, segna la chiusura del decennio di lotte e di tensioni per le conquiste operaie e una sorta di lasciapassare per una lunga stagione di controriforme caratterizzata da una classe lavoratrice e da organismi di mediazione con sempre minore potere contrattuale e da un’economia ormai globalizzata che livella verso il basso i diritti dei lavoratori. Il fatalismo fa il resto.

Così oggi, sepolte le discussioni sui rapporti tra capitale e lavoro, è più facile imbattersi in domande del tipo: fino a che punto i diritti dei lavoratori, seppur sacrosanti, possono inficiare il diritto di un cittadino alla libera circolazione, cioè a raggiungere il proprio posto di lavoro, un ospedale per una visita prenotata da mesi, un’università per poter sostenere un esame, ecc.? Perché una rivendicazione di interessi individuali deve seminare disagi all’intera collettività? Può una minoranza di lavoratori imporre le proprie scelte di lotta a tutti gli altri (in Germania, ad esempio, prima di indire uno sciopero si interpellano i lavoratori e si vede se la maggioranza è d’accordo)? Esistono strade alternative – nel nuovo millennio – ad una forma di lotta come lo sciopero che a molti appare desueta?

Il tema è ovviamente delicato e complesso, ogni soluzione va debitamente ponderata e deve passare per il parlamento. Certo è che il settore dei trasporti, essendo strategico per la movimentazione di cittadini e merci, cioè per ogni relazione umana ed economica, e rendendo quindi un servizio di enorme rilievo collettivo, non può essere circoscritto ad un recinto sindacale, ma ha enormi responsabilità sociali. L’operato dei lavoratori che prestano servizio nel comparto dei trasporti, pubblici o privati, è, appunto, strettamente connesso al diritto alla libera circolazione di ogni cittadino. Non a caso il diritto di sciopero in questo settore è sottoposto a limiti specifici, stabiliti dalla legge 146 del 12 giugno 1990 e dalla legge 83 dell’11 aprile 2000.

Insomma, il cammino delle rivendicazioni – dalla depenalizzazione dello sciopero con il Codice Zanardelli al primo sciopero generale italiano del 1904, dagli anni repressivi del fascismo all’inserimento dell’articolo 40 nella Costituzione del 1948 – è destinato a subire battute d’arresto e a diventare materia per libri sempre più impolverati?

(Domenico Mamone)

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