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Le baby gang e l’emulazione di Gomorra

Domenico MamoneI film violenti sono sempre stati prerogativa, per lo più, della cinematografia americana. Tra armi sofisticate, effetti straordinari ed attori specializzati. Noi abbiamo sfornato scene crude in qualche capolavoro, soprattutto del neorealismo, per poi scatenarci negli anni Settanta con polizieschi però decisamente pittoreschi. Loro Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Van Damme; noi Maurizio Merli o Mario Merola. Persino per le più importanti pellicole sulla mafia abbiamo a lungo delegato la produzione americana.

Del resto la società statunitense, ricca di diseguaglianze economiche e identitarie, è assuefatta alla violenza, spesso garantita dalle stesse leggi che permettono il facile reperimento e la diffusa detenzione di armi. Le continue stragi nelle scuole o gli omicidi a sfondo razziale costituiscono una drammatica costante. Una realtà che ha influenzato non solo il cinema, ma tutta la cultura americana, ad iniziare dalla letteratura. Lo spaccato della realtà è nei numeri: negli States si registrano oltre 12mila omicidi l’anno, 33 al giorno; da noi sono meno di 500, quindi meno di due al giorno. In sostanza se negli Usa ci sono 370 omicidi ogni milione di residenti, da noi sono soltanto otto. A ciò si sommano storie raccapriccianti sfornate quotidianamente dal territorio americano, ad esempio quella emersa nei giorni scorsi: tredici figli imprigionati da almeno sette anni dai genitori, vicino Los Angeles, malnutriti, non lavati e con segni di violenze.

Nonostante questo quadro non proprio esaltante, da un po’ di tempo, con la solita mania di scimmiottare la sottocultura americana, il crimine è diventato oggetto di culto anche per il cinema italiano, in particolare quello impegnato a realizzare serie televisive. Così in breve tempo, dalle Squadre antimafia ai Distretti di polizia si è approdati a Suburra, Romanzo criminale e Gomorra. A che serve tutto ciò, se non amplificare e diffondere la cultura della violenza e l’imposizione di anti-eroi che spesso vanificano il duro lavoro compiuto dalla magistratura, dalle forze dell’ordine e dagli educatori?

Il punto è: davvero la società resta impermeabile a questi modelli cinematografici? La risposta è purtroppo “no”. E l’esempio ce lo offre proprio l’attualità delle baby-gang, fenomeno amaramente in crescita soprattutto nelle zone a maggior rischio devianza. Le indagini sul pestaggio di Arturo a Napoli confermano: i giovani aguzzini hanno imitato scene di Gomorra. Uno dei minori, C.M., quindicenne di origini rumene, ad esempio, si è sfilato l’orologio e lo ha allacciato al pugno, come se fosse un tirapugni, proprio come fa Genny Savastano in un episodio della serie. L’altro colpitore è un diciassette di origini sudamericane, con i capelli rasta: colpisce con un pugno Arturo al naso e glielo frattura. Le scene sono state riprese dalle telecamere. Un film del film, un fenomeno emulativo.

La commissione Politiche sociali della IV municipalità di Napoli non lascia spazio a dubbi: chiede che il Comune non conceda più il permesso di girare scene violente nelle strade cittadine «vista la recrudescenza di attività criminali inneggianti e concomitanti con la visione della recente serie Gomorra, dove baby gang, sparatorie, agguati, ricatti e pizzo sono il tema continuo e trainante e dove le azioni di polizia e ripristino di legalità sono praticamente assenti. Tutte queste scene ripetute e violente mostrano di fatto ed erroneamente ai nostri figli solo il lato negativo della realtà cittadina. Non è più ammissibile — concludono il presidente della commissione e il suo vice, Mario Maggio e Antonio Napolitano — una tale visione distorta della nostra città, non è ammissibile che i napoletani debbano sopportare di veder girare certe scene di violenza dove magari qualche loro caro ha anche dato la vita a causa di certi fenomeni criminali».

Tutto condivisibile.

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