“L’immigrazione è una bomba sotto il tavolo dell’Unione europea”. Un’affermazione decisamente forte che questa volta non ha la firma del “solito” Matteo Salvini, ma di un politico certamente più moderato come Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo. Il quale, senza mezzi termini, parla di un’Unione europea “in pericolo” se non si decide ad affrontare con fermezza e coralmente il tema spinoso dell’immigrazione, oltrepassando gli egoismi e le strategie nazionali. Timori certamente condivisibili dallo scrivente.
Al di là di posizioni anche contrapposte che sono in campo, alimentando anche confusione, si può partire invece da alcuni punti fermi.
Il primo, scontato, deve tener conto della necessità di proteggere coloro che fuggono da guerre e persecuzioni. Certo, è vero che si tratta di una netta minoranza – circa il sette per cento – rispetto ai flussi migratori complessivi; ma non va dimenticato che stiamo parlando di esseri umani che non possono essere abbandonati a loro stessi. Questo è un valore fondamentale, con un grande peso umano e politico. Nel contempo occorre gestire al meglio e collettivamente i flussi complessivi, facendo in modo che siano limitate le partenze, divisi equamente i richiedenti asilo tra gli Stati membri garantendo sicurezza a chi ne ha diritto e perseguendo con fermezza i trafficanti di morte e loro eventuali complici. Perché sarebbe ipocrita ignorare il business collegato al fenomeno, di cui anche le cronache delle ultime ore – vedi Benevento – confermano la portata e la ramificazione (Buzzi docet).
La grande sfida che attende l’Unione europea è quindi quella di saper fare Politica con la P maiuscola e pertanto di dimostrare di essere all’altezza nel risolvere i tanti nodi dei flussi migratori. Insomma, i Palazzi comunitari debbono dimostrare di non rappresentare soltanto un’unione economica e finanziaria, ma soprattutto politica e quindi solidale.
Altri punti fermi da cui partire, frutti di ampie condivisioni, sono le riforme del regolamento di Dublino, di fatto attestandone il fallimento, e in particolare la riforma del sistema di asilo europeo, atti non più rimandabili.
Parallelamente occorre rilanciare l’azione diplomatica dei leader europei in Africa, missioni che debbono oltrepassare gli interessi di bottega – manifestati soprattutto dalla Francia in Libia – per finalizzare gli interventi all’interesse comune, che poi significa prevenire problemi più gravi in ambito di sicurezza e di ordine pubblico, ma anche di difesa dei diritti e della dignità nel lavoro. La diplomazia può fare molto soprattutto in Nord Africa, a partire da Libia e Tunisia, ma anche Marocco ed Egitto.
Dal momento che il lassismo non giova, occorre aggiungere – senza ipocrisie – che esiste l’indubbia necessità di rafforzare i nostri confini esterni e di attivare piattaforme per controllare i migranti in Africa e anche nei Balcani occidentali.
L’azione di Salvini, comunque la si giudichi, ha avuto perlomeno il merito di aver lanciato un grosso sasso nello stagno. Il dinamismo internazionale in fatto di riunioni e dichiarazioni è conseguenza anche di ciò. Ad esempio, il premier lussemburghese Xavier Bettel ha promosso per mercoledì 27 giugno una riunione informale con i commissari liberali europei presso il castello di Senningen per discutere anche di migrazioni. E l’atteso vertice del 28 e 29 giugno sui temi di migrazione e asilo dovrà obbligatoriamente affrontare il sistema Dublino, tenendo in maggiore considerazione – rispetto a quanto fatto finora – delle necessità dei Paesi frontalieri soprattutto in termini di salvataggio, di sbarco e di smistamento. E l’Italia, naturalmente, è parte in causa.
(Domenico Mamone)
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
