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L’isolamento dell’Italia rischia di ripercuotersi sulle aziende

MamoneLa politica internazionale, in queste ultime settimane, sta riservando all’Italia una condizione non proprio invidiabile: l’isolamento.

Ciò appare sempre più palese, ad esempio, sul fronte degli sbarchi dei migranti: i deludenti risultati del recente vertice di Tallinn tra i ministri degli Interni dei Paesi europei hanno confermato per l’ennesima volta i tanti atteggiamenti da Ponzio Pilato adottati dagli Stati comunitari nei confronti delle oggettive difficoltà dell’Italia nel far fronte ad un problema ormai esplosivo, con prevedibili ripercussioni nella politica interna.

L’Italia, da parte sua, continua a dimostrare di non avere capacità idonee a trasferire la spinosa questione degli sbarchi sui tavoli dell’Unione e, nel contempo, conferma l’annosa divisione tra le forze politiche che non aiuta a promuovere scelte e soluzioni unilaterali.

Analoghe situazioni emergono non solo sul fronte geopolitico – il capitolo Libia è indicativo in tal senso – ma anche su quello economico, laddove gli schiaffi francesi ancora fanno male.

Il nodo centrale è che l’isolamento, in un’economia sempre più globalizzata, corrisponde a fragilità e vulnerabilità dell’intero sistema-Paese. La conferma di come una politica debole abbia conseguenze devastanti anche per le piccole e medie imprese viene dal confronto tra la nostra e le economie a noi più vicine.

Le previsioni di crescita dell’Italia, seppur più ottimistiche nelle ultimissime proiezioni (intorno all’1,3%), rimangono molto al di sotto di altri Paesi europei, come ad esempio la Spagna, a cui il Fondo monetario internazionale assegna un 2,6%, cioè il doppio di quanto assegnato al nostro Paese. La media europea è sopra al nostro dato, così come i numeri di Francia e Germania.

Insomma, l’isolamento potrebbe diventare anche economico, conseguente alla progressiva biforcazione tra l’andamento della nostra economia, caratterizzata principalmente da scarsa produttività, soffocante burocrazia e alta tassazione, e quella dei partner europei.

Se è vero che lo scenario internazionale mostra segnali di ripresa dopo la crisi decennale, è altrettanto vero che il nostro Paese sta beneficiando solo parzialmente di questa ripartenza. Finora le nostre imprese hanno goduto più che altro delle misure espansive promosse da Mario Draghi (e dei tassi bassi) rispetto alla pur importante spinta dell’export o alla flebile ripresa dei consumi interni. Ma la soddisfacente congiuntura rischia di esaurirsi presto.

Stimolare la crescita resta il diktat primario per far ripartire l’economia e l’attenzione della politica dovrebbe concentrarsi principalmente sui tanti nodi – ben noti – ancora presenti nel nostro tessuto industriale, criticità che frenano investimenti e occupazione. Si rischia seriamente che a pagare l’isolamento italiano, politico e macroeconomico (vedi scarsa crescita del Pil), saranno soprattutto le nostre piccole e medie aziende, sempre meno supportate sul fronte interno e schiacciate dalla concorrenza di altri sistemi-Paesi più strutturati.

Supportare il ruolo di traino del tessuto imprenditoriale appare, pertanto, la strada obbligata per decisioni politiche coraggiose e ambiziose.

(Domenico Mamone)

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