
Le ricadute del Recovery Plan sul comparto, la sicurezza delle infrastrutture, i problemi legati al “nanismo” delle imprese e quelli derivanti da un eccesso di burocrazia e di disposizioni legislative, le Zone economiche speciali, il Piano per le città, le nuove tecnologie BIM, ma anche la necessità di vigilare sul settore in termini di mantenimento della legalità. Sono i temi trattati nell’ “Indagine sulle infrastrutture ed il comparto edilizio in Italia”, un volume di circa 560 pagine realizzato da Eurispes, con l’obiettivo di esplorare lo stato di salute del settore e l’adeguatezza del sistema infrastrutturale nel nostro Paese.
I FRENI ALLA CRESCITA – Il nanismo imprenditoriale che caratterizza il mondo produttivo italiano rappresenta ancora oggi un freno. Oltre 4.400.000 aziende operative nel sistema “industria e servizi” che occupano circa 17.300.000 lavoratori. Nel nostro Paese, un’azienda occupa mediamente circa 4 lavoratori. Inoltre, il 95 per cento delle imprese ha trovato nel dimensionamento fino a 9 addetti la possibilità di garantire continuità aziendale e standard di concorrenzialità. Nel settore edile, effettuando una comparazione tra le prime 20 imprese iscritte all’Ance trenta anni fa e quelle presenti oggi, emerge la storia dell’evoluzione dell’intero comparto delle costruzioni caratterizzata da una inarrestabile crescita di imprese medio-piccole e, al tempo stesso, di un’inarrestabile “nanismo”. Un nanismo che in assenza di occasioni di lavoro, in assenza di affidamenti non ha prodotto l’aggregazione di imprese piccole e medie, anche perché nel comparto delle costruzioni la sommatoria di imprese piccole o di imprese medie non dà origine ad una grande impresa.
CHE COSA SUCCEDERÀ ORA CON L’AVVIO DEL PROGRAMMA DEFINITO DAL PNRR? – Se si prende come riferimento una soglia di lavori compresa tra i 2 e i 20 milioni di euro, scopriamo che il numero di imprese potenzialmente in grado di partecipare a tali gare si attesta su un valore pari a circa 9.000 unità; oltre i 20 milioni di euro le imprese non superano le 530 unità. D’altra parte, non si può sottovalutare il costante, forte ridimensionamento del tessuto produttivo; la scomparsa dal mercato di decine di migliaia di imprese di costruzioni (tra il 2008 e il 2016 oltre 120mila) soprattutto nelle aziende più strutturate, con conseguente perdita di competenze tecniche ed esperienze; la perdita di imprese di dimensioni medie o grandi (la media di addetti per impresa è scesa a 2,6, era 3 nel 2008), e di imprese che si occupano di costruzioni di edifici (la quota di mercato è scesa al 23 per cento). Mancanza di manodopera, aumento dei costi delle materie prime, rischiano di frenare la crescita. Scarseggiano operai e artigiani, e negli ultimi mesi il personale è di difficile reperimento. Scarseggia il personale specializzato, soprattutto nel mantenimento di strutture edili.
Le piccole e medie imprese sono state duramente colpite dalla crisi economica dell’ultimo decennio: operano in un contesto di domanda debole e di forte incertezza, in un momento in cui le banche, che costituiscono la loro principale fonte di finanziamento esterno, sono sottoposte a regole più stringenti che limitano la capacità di prestito e di assunzione del rischio. Di fatto, l’accesso ai finanziamenti ‒ e il relativo costo ‒ generalmente rappresentano motivo di grave preoccupazione per le Pmi, più che per le grandi imprese e non solo per la crisi attuale, ma anche in ragione di carenze generali del mercato
COME È CAMBIATO IL MONDO DELLE IMPRESE DI COSTRUZIONE NEGLI ULTIMI TRENT’ANNI? – Da un confronto tra le prime venti imprese nel 1990 e nel 2020 ci troviamo di fronte ad una crescita, in alcuni casi, di dieci volte del fatturato. Ma, cosa ancor più grave, questo confronto mostra la scomparsa in trent’anni di molte società nella graduatoria delle prime venti imprese e nell’intero comparto.
L’ESPLOSIONE DEL NANISMO IMPRENDITORIALE – Ministeri, Comuni, Province e Città metropolitane lavorano prevalentemente con il sistema delle piccole imprese regionali, a cui corrisponde oltre il 50 per cento dell’importo aggiudicato da questi enti, a conferma del fatto che i sistemi locali salvaguardano le piccole imprese almeno rispetto alle piccole opere, le manutenzioni stradali, la piccola edilizia, ecc. Invece, la quasi totalità della spesa dei lavori effettuata da Rete Ferroviaria Italiana, Grandi Stazioni, Enel, Anas, Poste è acquisita dalle medio-grandi imprese, e solo in sporadici casi il sistema delle piccole e medie imprese riesce a lavorare per gruppi quali Acea, Italgas, Adr o altre grandi utilities. Uno degli ostacoli maggiori alla partecipazione delle PMI al mercato degli appalti pubblici in Italia è rappresentato, come noto, dall’inefficienza della PA, e in particolare da un sistema iper-regolamentato e spesso farraginoso che impedisce l’attuazione degli investimenti pubblici in tempi accettabili e che finisce per rappresentare un vero e proprio ostacolo alla crescita economica. Il tempo che passa tra la decisione di avviare un progetto di intervento (che coincide con la richiesta del CUP) e l’avvio della progettazione richiede in Italia, in media, 254 giorni. Ciò significa che, una volta che si è deciso di attivare un nuovo progetto e se ne è individuata la copertura finanziaria (elemento necessario per il rilascio del codice CUP), il progetto resta in stand-by per 8-9 mesi. Una volta partiti con la progettazione degli interventi, occorre attendere più di 1 anno (372 giorni) per avere il progetto definitivo.
IL MEZZOGIORNO NON PUÒ ESSERE LASCIATO INDIETRO – Dell’importo di 54 miliardi di euro del Fondo Coesione e Sviluppo 2014-2020, quindi in sei anni, sono stati erogati e spesi appena 3,8 miliardi di euro. Guardando le disponibilità finanziarie delle Regioni del Centro-Nord scopriamo che circa il 19 per cento è allocato in tali realtà territoriali. La preoccupazione è che circa 9 miliardi di euro siano davvero spesi, mentre le restanti risorse destinate al Mezzogiorno (pari a circa 38,5 miliardi di euro) non lo siano in tempi quanto meno comparabili. La vera preoccupazione, in realtà, va sempre ricercata nella capacità della spesa: se il Centro-Nord riesce ad attivare la spesa entro un preciso arco temporale, mentre il Mezzogiorno non ne ha la capacità, si avrà una crescita del Pil pari allo 0,7 per cento per il Centro-Nord e per il Sud si amplifica ulteriormente il gap.
GLI INVESTIMENTI DEL PNRR E LE RICADUTE SUL COMPARTO – Lo scenario delle imprese industriali e dei servizi che emerge dall’indagine Istat (“Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19” ottobre – novembre 2020) riguarda circa 40mila imprese, il 24 per cento delle imprese, con almeno tre addetti, che producono però l’84,4 per cento del valore aggiunto nazionale, impiegano il 76,7 per cento degli addetti (12,7 milioni) e il 91,3 per cento dei dipendenti, costituendo, quindi, un segmento fondamentale del nostro sistema produttivo. L’investimento previsto nel PNRR potrebbe determinare complessivamente un’attivazione di circa 38 mld di euro di valore aggiunto sul sistema produttivo, pari al 2,4 per cento del livello di riferimento (1,8 per cento dovuto agli effetti diretti, 0,6 per cento a quelli indiretti). Il tasso di ritorno degli investimenti in Costruzioni è di circa il 77 per cento (0,77 mln di euro di valore aggiunto generato ogni milione investito), con una produttività attivata di 53,9 mila euro per unità di lavoro, un livello relativamente contenuto. Circa il 38 per cento dell’attivazione totale è concentrato nelle Costruzioni (14,1 mld di euro, +21,1 per cento), in prevalenza nel comparto dell’ingegneria civile (6,3 mld di euro, +81,5 per cento). Appare percentualmente rilevante anche l’impatto sul settore della Costruzione di edifici (+3 mld di euro, +19,8 per cento).
Il PNRR rappresenta anche per l’intero comparto edile un’opportunità storica di ripartenza e rilancio. Su un totale di 222 miliardi di euro ben 108 riguardano edilizia e costruzioni, per grandi infrastrutture, opere di manutenzione e messa in sicurezza di città e territori. Cruciale è anche il ruolo del settore creditizio. Strumenti necessari sono: la semplificazione, l’accorciamento delle filiere decisionali, la cooperazione tra associazioni di imprenditori, Istituzioni e parti sociali.