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Mamone (Unsic): “Condivisibili le proteste degli agricoltori”

Hanno iniziato in Germania a metà dicembre, a causa degli tagli ai sussidi agricoli, a cominciare dall’agevolazione fiscale sul gasolio. Un intervento governativo necessario a riequilibrare le ingenti spese per mantenere gli aiuti militari all’Ucraina. La protesta degli agricoltori dalla Germania s’è estesa in Francia (il nuovo fenomeno dei “gilet verdi”), Polonia, Ungheria, poi in Belgio, Olanda e Spagna. E, ora, anche in Italia, dal Nord al Sud.

– Presidente Mamone, perché le proteste generate da un provvedimento del governo tedesco si stanno estendendo a macchia d’olio in Europa?

“L’agricoltura soffre da una parte di problemi che vengono da lontano, a cominciare da una redditività sempre più bassa, specie a fronte dei prezzi nettamente cresciuti al dettaglio. Se le arance vengono pagate pochi centesimi al chilo all’agricoltore, finiscono al supermercato dall’uno ai tre euro al chilo. Al tema dei costi si aggiungono questioni contingenti, come il ruolo dell’Europa comunitaria ormai prevalente o quello dalla globalizzazione, con gli esiti delle crisi geopolitiche e di una concorrenza al ribasso. Poi ci sono i cambiamenti climatici: il peso di siccità e alluvioni è purtroppo sempre più rilevante, non a caso tra le richieste dei coltivatori c’è il risarcimento rapido in caso di calamità climatiche. Se i problemi prevalenti hanno valenza internazionale – si pensi al ruolo dominante delle multinazionali e della grande distribuzione – è chiaro che al centro delle proteste dei lavoratori di tutta Europa ci siano tante questioni comuni. La stessa comunità d’intenti c’è per le richieste ai governi, in testa la riduzione dei prezzi del gasolio non stradale. Certo, poi le proteste assumono sfumature differenti da nazione a nazione: in Francia, ad esempio, dove le manifestazioni sono all’ordine del giorno, le proteste si stanno estendendo ad altre categorie e rischiano la strumentalizzazione da parte delle forze politiche più estreme. È comunque innegabile una netta coincidenza di intenti da parte di categorie in crisi, un esempio è quello degli operatori di una sanità post Covid piena di criticità che si sono uniti agli agricoltori”.

– Colpisce, in queste rivolte, come la transizione ecologica venga messa sul banco degli imputati…

“Non c’è ovviamente un’avversione ideologica all’ecologia, non dimentichiamoci che l’agricoltura costituisce la prima salvaguardia per i nostri territori, per i terreni, per il paesaggio, per la biodiversità. Il problema è che la politica ecologica di Bruxelles viene vista non solo come qualcosa di estremamente burocratico, una ‘fabbrica di pratiche e di scartoffie’, ma soprattutto di punitivo. I manifestanti chiedono in sostanza una transizione ecologica equa, che tenga conto della redditività del lavoratore agricolo, che non può essere strozzato dal mercato, dalle banche, dal fisco e non deve essere il solo a ‘pagare’ la scelte verdi più irrazionali”.

– L’Europa politica attuale, alla vigilia delle elezioni di giugno, rischia di pagare un prezzo alto a queste proteste che lievitano?

“È chiaro che questa situazione potrebbe avvantaggiare principalmente le forze euroscettiche, o comunque quelle più radicali. Non a caso la maggior parte dei manifestanti non colloca bandiere di partito, ma nemmeno di organizzazioni sindacali, sui propri trattori. E non a caso la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha subito ricevuto a Bruxelles i rappresentanti degli agricoltori europei, dimostrando la massima disponibilità e riconoscendo che sono loro la parte più vulnerabile della catena. In gioco, non dimentichiamocelo, c’è anche il primato qualitativo europeo in agricoltura, che poi equivale alla nostra sicurezza alimentare, Insomma, la posta in gioco è davvero alta, specie per noi italiani, che deteniamo il primato dell’agricoltura di qualità”.

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