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Mamone (Unsic): “L’economia 4.0, il grande cambiamento”

Domenico Mamone

Il web, la grande disponibilità di dati e la connessione tra computer e sensori, la digitalizzazione e l’industria 4.0 sono gli elementi del nuovo paradigma economico e sociale del nostro tempo e della trasformazione epocale che stiamo vivendo.

Siamo in una fase di transizione e di straordinario cambiamento che avviene a velocità tumultuosa. Mutano l’economia, i modelli produttivi, la società, il lavoro, l’ambiente, le relazioni, il welfare, le città, i territori, le tipologie dei consumi; stiano vivendo migrazioni bibliche, vecchi lavori scompaiono e nuovi vengono creati.

Dopo la prima rivoluzione industriale, fondata sull’introduzione di macchine azionate da energia meccanica e dopo da quella a vapore, la seconda fondata su elettricità, chimica e petrolio, con produzioni seriali secondo il modello taylorista-fordista e la terza segnata da elettronica, stiamo vivendo quella che si definisce la “Quarta rivoluzione industriale”, con macchine interconnesse e collegate al web, intelligenza artificiale, piattaforme per la gestione di transazioni e scambi di informazioni e dati anche in settori completamente diversi e lontani dal finance e dal payment.

E’ quella che si definisce “Industria 4.0” ovvero “Impresa 4.0”, che ha, tra gli effetti più immediati sul piano sociale, il tendenziale superamento della storica dicotomia tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.

E in questo scenario di cambiamento che viaggia a velocità esponenziale, un quesito sorge spontaneo, specie da parte di chi svolge funzioni di rappresentanza collettiva degli interessi: quali saranno i rapporti tra l’automazione e le persone, tenendo conto della cosiddetta “Geopolitica del Digitale”, un nuovo strumento con cui analizzare i mutamenti e gli impatti provocati dalla trasformazione digitale nella “geografia” delle interazioni tra attori umani, istituzionali ed economici, attraverso la creazione di nuovi spazi (quello digitale costituito da internet, piattaforme multimediali, aggregati di dati e nuove arene di confronto) e la digitalizzazione degli spazi preesistenti (che modifica le modalità con cui le relazioni tra attori si realizzano negli spazi già costituiti).

Per quanto riguarda il nostro Paese una prima considerazione è d’obbligo e riguarda l’azione di governo: serve una efficace politica di investimenti, pubblici e privati coordinati, che assicuri un salto di qualità al nostro modello produttivo, con una governance efficace, poco burocratica e meno centralista, connessa ai territori, magari generalizzando gli Osservatori sulle imprese innovative già definiti in alcune regioni. In questa prospettiva si deve ridurre il divario tecnologico e di rete tra Nord e Sud dell’Italia, con azioni mirate che coinvolgano le piccole e medie imprese, i servizi, la pubblica amministrazione, valorizzando il lavoro 4.0 sui temi della formazione e delle competenze e, in azienda, quello degli orari a partire dalla loro gestione flessibile, anche per evitare i rischi di disoccupazione tecnologica.

In questo scenario in rapido mutamento, così gravido di incognite ma anche di opportunità, quale ruolo per le parti sociali?

Nella società industriale il luogo dello scontro sociale era fondamentalmente la fabbrica ed attraverso il conflitto la classe operaia e quella imprenditoriale si contendevano la distribuzione del reddito; oggi, nell’economia 4.0, la posta in gioco è la verticalizzazione delle differenze, tra chi è in cima alla scala sociale e chi, la grande maggioranza, è sotto. Ed è per questo motivo che i nuovi conflitti sociali saltano le tradizionali forme di rappresentanza politica e sindacale, tutte ritenute appartenenti alla più generale “casta” di potere. Ecco, quindi, che appare improponibile lo “storico” assetto delle relazioni industriali in Italia, con il sindacalismo confederale ripiegato in un rapporto corporativistico con le più antiche associazione datoriali, Confindustria in primo luogo, in una sorta di cittadella chiusa, sempre più piccola e assediata da nuove forme di sindacalismo autonomo e di base e da organizzazioni datoriali espressive del nuovo sistema produttivo reticolare in profonda trasformazione, nell’ambito di un elevato pluralismo associativo che ha eroso consensi e rappresentatività, arginato a fatica dai vecchi paletti di un ordinamento intersindacale non inclusivo, che impedisce a chi ne è fuori di esercitare legittimamente diritti sindacali e funzioni di contrattazione collettiva.

Tema, quest’ultimo, che abbisogna ormai, senza remore, di un intervento legislativo regolativo, rispettoso dei principi e delle previsioni dell’art. 39 della Costituzione, letti in chiave evolutiva secondo l’insegnamento del diritto vivente, per riscrivere e aggiornare relazioni industriali che mostrano evidenti segni di logoramento.

Su questi temi l’Unsic, anche con altre espressioni del nuovo e più moderno associazionismo datoriale, si cimenterà senza infingimenti né remore di alcun genere, coinvolgendo energie intellettuali e raccogliendo le sollecitazioni sociali al cambiamento, per governare il cambiamento, poiché, come ebbe ad affermare Joseph Alois Schumpeter “Fare le cose vecchie in modo nuovo, questa è innovazione”, che per noi significa svolgere la tradizionale rappresentanza collettiva degli interessi guardando al nuovo che avanza.

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