Ribaltare il rigido concetto di spazio e di tempo nell’ambito del contesto lavorativo. E’ questa la missione dello smart working (o “lavoro agile”), la modalità occupazionale che da una parte privilegia il tasso di produttività rispetto ai classici “cartellini da timbrare”, dall’altra mira ad apportare benefici all’esistenza dell’impiegato garantendogli una migliore armonia tra vita quotidiana e lavoro. Ad alimentare questa vera e propria rivoluzione nell’assetto degli ambienti di lavoro, delle infrastrutture ICT e dell’organizzazione aziendale sono soprattutto le nuove tecnologie, che permettono sempre più di lavorare a remoto.
Del tema si è lungamente parlato nei giorni scorsi attraverso i numerosi eventi che hanno costituito la “Settimana del lavoro agile”. In particolare sono stati evidenziati i risultati di diversi studi in materia che hanno promosso questa modalità organizzativa del lavoro in termini di benefici tanto per l’imprenditore quanto per il dipendente.
Ad esempio secondo alcune analisi condotte dall’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, più del 50% delle grandi aziende adottano il “lavoro agile” con un aumento della produttività del 5-6%, (non ultima Enel che lo ha proposto a ben 7mila dipendenti), mentre, in base ai dati di Osservatori.net, network di ricerca facente capo allo stesso Politecnico, sarebbero già 300mila i lavoratori smart, il 7% degli impiegati italiani. Dati meno esaltanti sul fronte delle piccole aziende, laddove solo il 5% ricorrerebbe allo smart working, ma autorevoli previsioni spingono questo dato fino a quasi il 20% nel giro di qualche anno.
L’ulteriore accelerazione del fenomeno, di cui è possibile individuare una fase embrionale nel telelavoro degli anni ’70, è assicurata anche dalle minori barriere ideologiche che in quegli anni vedevano il sindacato in prima fila. Oggi ogni alzata di scudi contro l’innovazione appare davvero anacronistica e un’organizzazione aziendale che non tiene conto dell’evolversi del tempo rischia di apportare danni all’intera impresa.
Lo smart working, che rispetto al telelavoro presenta maggiore flessibilità nel “concetto di luogo” (non più individuato nel solo domicilio) si caratterizza per l’autodeterminazione dell’orario di lavoro (con il raggiungimento degli obiettivi prefissati), l’analogo trattamento economico rispetto agli impiegati in ufficio, lo stesso obbligo di informazione su rischio infortuni e malattie professionali con copertura Inail e per la molteplicità di luoghi dove si può svolgere l’attività lavorativa, non solo la propria abitazione, ma anche una panchina pubblica, un coworking, un bar, un pub, un ristorante, un mezzo di trasporto pubblico, etc.
Lo scorso 10 maggio il Senato ha approvato il disegno di legge del 28 gennaio 2016 sullo Statuto del lavoro autonomo che include anche lo smart working. Le norme prevedono che tale tipologia sia frutto dell’accordo tra datore e dipendente e regolata da un contratto scritto, con diritto di recessione dietro preavviso di 30 giorni. Lo scorso 26 maggio è stata approvata la direttiva sul lavoro agile nella pubblica amministrazione. Il provvedimento prevede che almeno il 10% dei lavoratori che lo chiedono potranno sperimentare forme di smart working, senza «penalizzazioni nella loro professionalità e nell’avanzamento di carriera».
Se utilizzato con intelligenza, evitando logiche di mero calcolo, lo smart working può apportare certamente benefici sia alle persone sia all’ambiente.
(Domenico Mamone)
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
