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Agricoltura: Campania toxic ed il pomodoro avvelenato

“Campania felix”, così lo scrittore e naturalista Plinio il Vecchio definiva la Campania nel suo Naturalis historia per sottolineare la fertilità di questa regione italiana, ideale per coltivare il grano, grazie ai fertili terreni vulcanici e all’abbondanza di acqua. Non a caso il cibo rappresenta infatti da sempre una risorsa vitale per questa regione, basti pensare che la filiera agroindustriale pesa per il 4,3% sull’economia regionale. Sicuramente Plinio già ai tempi dell’Antica Roma ebbe la fortuna di assaporarne gli ortaggi e chissà forse anche una “trisavola” della mozzarella di bufala, tipico prodotto partenopeo esportato poi in tutto il mondo. Ma probabilmente se fosse vissuto oggi non avrebbe molto gradito il menù gastronomico della Terra dei fuochi, che non è una delle locations dell’ultimo episodio del Signore degli Anelli, ma una lingua di terra tra Napoli e Caserta di ettari ed ettari di territorio dove viene coltivata frutta e verdura della discordia, piantata e raccolta su una discarica, o su un terreno imbottito di rifiuti. Il menu del pranzo infatti prevede alimenti che vanno dagli ortaggi deformi alle verdure scolorite fino alla frutta che sa di niente. II sacro “pomo d’oro” farebbe un baffo persino alla mela di Biancaneve, per quanto sembra avvelenato, viste le recenti analisi sulla pianta di pomodoro coltivata nell’Area Vasta di Giugliano, da cui sono emerse tracce di mercurio, arsenico e piombo. Vergognosamente famosa per i suoi roghi tossici e gli sversamenti illegali di rifiuti che, occultati nel terreno, lo contaminano passando di conseguenza ad avvelenare le verdure ed il corpo umano, provocando malattie che hanno causato e continuano a causare migliaia di morti ogni giorno, come confermato anche dai decessi avvenuti al Policlinico di Napoli. Ma “la salute è la prima cosa”, e quando si tratta di salute i grandi marchi preferiscono non rischiare. Così grandi aziende di surgelati come Findus Italia e Orogel, che prima compravano i prodotti tra Napoli e Caserta, indietreggiano perché nessuno vuole più mangiare i prodotti della Terra dei fuochi. Pomì ha specificato che il pomodoro utilizzato nelle sue conserve è solo del Nord con pagine di pubblicità dedicate. E un avviso ai consumatori. Il Consorzio Casalasco del Pomodoro e il brand Pomì sono da sempre contrari e totalmente estranei a pratiche simili, privilegiando una comunicazione chiara e diretta con il consumatore. Per questo motivo l’azienda comunicherà sui principali quotidiani nazionali e locali, ribadendo i suoi valori e la sua posizione in questa vicenda. Si tratta di un atto dovuto non soltanto nei confronti dei consumatori, ma anche nel rispetto delle aziende agricole socie, del personale dipendente e di tutti gli stakeholders che da sempre collaborano per ottenere la massima qualità nel rispetto delle persone e dell’ambiente. “Solo da qui, solo Pomì”. Un manifesto pubblicitario a tutta pagina: la figura dell’Italia stilizzata e l’immagine di un pomodoro al centro nord, tra Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. E’ la campagna dell’industria di pomodori che nel pieno caos scatenato dalle rivelazioni sulla Terra dei Fuochi, zona di produzione delle altre conserve in Italia, cerca di smarcarsi e approfittare dell’onda di preoccupazioni che riguardano i prodotti provenienti dalle zone del sud. Qualche giorno fa inoltre è stata desecretata l’audizione nella Commissione rifiuti del pentito Schiavone sullo smaltimento illecito di veleni nella Terra dei Fuochi. Tutti elementi che hanno portato alla decisione di Pomì di specificare la provenienza “nordica” delle loro materie prime. Ma persino il fruttivendolo del mercato di Napoli, fuori dal suo negozio ortofrutticolo ci tiene ad esibire il cartello “Qui non si vendono i prodotti di Giugliano “. Purtroppo non si tratta semplicemente di un caso isolato, questo della Campania, ma il rischio è che se in Italia la Terra dei fuochi diventasse la Campania intera, all’estero potrebbe essere in pericolo tutto il made in Italy e dunque potrebbe essere messo a rischio il futuro di decine di migliaia di imprese agricole che operano nel rispetto delle regole di qualità. E i coltivatori non possono correre il rischio di seminare senza sapere se piazzeranno quei prodotti sul mercato, oltre che ovviamente ammalarsi di cancro, come già è successo a centinaia di contadini e pastori del luogo, morti per la contaminazione da sostanze tossiche e che narrano di aver visto nascere “veri e propri mostri”: agnelli deformi e persino a due teste. Gli agronomi del luogo, intanto, propongono la nuova denominazione Doag, Di origine ambientale garantita. E a Napoli, a pochi metri dalla Stazione Centrale, è nato addirittura il polo del gusto della “terra del buono”. Nella Terra dei fuochi non è difficile imbattersi in un incendio e vedere del fumo nero provenire da un telone che ha preso fuoco, rivelando masse di rifiuti tossici, nella totale indifferenza delle forze dell’ordine. Dunque analizzare terreni, acque e prodotti è diventato davvero fondamentale per non distruggere completamente l’economia di questa terra e accertarci di quali siano i terreni ancora coltivabili e quelli invece in cui vietare le coltivazioni e da decontaminare.  Il campo dei veleni per antonomasia è ritenuto finora quello scoperto in località Sant’Aniello nel Caivanese: è una discarica di 200 mila metri cubi nascosta dalle verdure ma ricolma di amianto, colle, suole, tomaie, pezzi di pellame, scarti di pressofusione. È stato calcolato che dall’inizio degli Anni 90 il clan dei Casalesi ha scaricato in Terra dei fuochi 800 mila tonnellate di immondizia fuorilegge. Di queste, 30 mila tonnellate di scorie sono targate Acna di Cengio, l’azienda Coloranti Nazionali e Affini attiva fino al 1999. Il resto porta i nomi di note aziende del Nord d’Italia. Non ha tardato ad arrivare il monito dell’Unione Europea: Janez Potocnik, commissario per l’ambiente della Unione europea, non si stanca di ammonire l’Italia e di minacciare sanzioni per i ritardi sul problema rifiuti. Daniela Nugnes, delegata alle politiche agricole dal governatore della Campania Stefano Caldoro, nega l’esistenza di un degrado generalizzato, pur ammettendo che persistano «porzioni di territorio con problemi di inquinamento», «in genere esterne agli spazi occupati dalle aziende agricole professionali». Ma di piani di smaltimento e di messa in sicurezza delle ex discariche finora non c’è traccia: è partita solo quella sulla ex Resit nel Giuglianese e aree circostanti, una goccia, nel mare dei veleni, ha detto Antonio Giordano, scienziato della Temple University di Filadelfia che rassegnato ritiene che 20 chilometri quadrati di territorio tra Napoli e Caserta sono da considerare ormai morti. 

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