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In Italia 9,6 milioni di case disabitate

case disabitate

Su 35,3 milioni di abitazioni, sono 9,6 milioni le case senza abitanti permanenti. A rivelarlo è l’ultima indagine di Openpolis sul patrimonio edilizio.

Negli ultimi decenni, infatti, si è andato intensificando lo spostamento progressivo dai piccoli centri urbani verso le zone centrali e i grandi poli del paese, dove si trovano maggiori servizi e più opportunità lavorative.

È così che, mentre le grandi città e le zone più attrattive si trovano a fronteggiare vere e proprie emergenze abitative a causa della scarsità di case disponibili, come per esempio a Milano, dall’altra i piccoli centri si svuotano sempre di più, tanto che in alcuni luoghi sono più della metà le case non abitate.

I dati più recenti, che fanno riferimento al 2021, registrano 35,3 milioni di abitazioni, di cui 9,6 milioni non occupate, ovvero vuote o occupate da persone che non vi dimorano abitualmente, come le seconde case.

In totale in Italia, le case vuote rappresentano il 27,2 per cento del totale, con un’incidenza che varia molto in base alla zona. Questa quota, infatti, è minore nelle aree del centro (22,3 per cento), del nord-est (23,1 per cento) e del nord-ovest (26 per cento), mentre sale al sud (32 per cento) e nelle isole (34,9 per cento).

A livello regionale, con un’incidenza del 56 per cento, è la Valle d’Aosta la regione con il maggior numero di case non abitate, seguita da tre aree del mezzogiorno: Molise (44,6 per cento), Calabria (42,2 per cento) e Abruzzo (38,7 per cento). Di contro le percentuali minori si registrano in Emilia-Romagna, con il 21,8 per cento, in Lombardia con il 21,2 per cento, e ultimo il Lazio, dove la percentuale di case non abitate scende al 19,5 per cento.

Se si considerano le province, invece, tra le prime dieci per quota di case senza dimoranti abituali, ce ne sono quattro in cui si supera il 50 per cento: Sondrio (56,1 per cento che corrispondono a 100.765 abitazioni non occupate), Aosta (56 per cento, 75.948), L’Aquila (53,2 per cento, 146.116) e Imperia (50,7 per cento, 104.201). Per quel che riguarda invece i territori dove questa quota è minore, si segnalano Milano (12,4 per cento, 214.674), Cagliari (11 per cento, 23.809) e Prato (7,8 per cento, 8.814).

 A incidere sul fenomeno è sia la distanza dai comuni centrali sia la zona altimetrica. Infatti, mentre le amministrazioni polo (16,9 per cento), quelle intercomunali (23,3 per cento) e i comuni cintura (24,2 per cento) registrano un’incidenza minore, più ci si allontana dai centri più la percentuale aumenta. Per cui troviamo un’incidenza del 37 per cento nei comuni intermedi, del 47,9 per cento in quelli periferici e del 56,3 per cento per quelli ultraperiferici.

Allo stesso modo la percentuale sale in maniera direttamente proporzionale alla zona altimetrica, per cui mentre la pianura e la collina interna registrano rispettivamente un 18,9 per cento e un 26,2 per cento, la montagna e la collina litoranea riportano valori pari al 32 per cento e al 33,1 per cento, fino ad arrivare al 47 per cento nella montagna interna.

A risentirne sono soprattutto i piccoli comuni. Da una parte, infatti, pagano già il prezzo della scarsità di servizi, allo stesso tempo, le amministrazioni predispongono investimenti e servizi in base alla densità di popolazione e alla tipologia di locazioni, per cui con l’intensificarsi dello spopolamento, queste zone vengono risucchiate in un circolo vizioso da cui diventa sempre più difficile uscire.

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