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Ocse, rapporto sull’imprenditorialità

Nel periodo della pandemia da Covid 19, numerosi imprenditori in tutta Europa hanno dovuto affrontare sfide senza precedenti sia legate alla gestione della crisi sanitaria sia dei blocchi economici. Alcune categorie però, quali donne, immigrati, giovani e persone con disabilità, hanno riscontrato una maggiore difficoltà nel gestire e continuare l’attività. Ciò ha portato alla chiusura di numerose aziende e imprese, molte delle quali proprio gestite da donne, giovani che avevano da poco avviato la loro azienda e immigrati, che non hanno potuto avere un sostegno da parte dei propri governi.

Pur se i molti governi hanno messo in campo una discreta gamma di strumenti per arginare il fenomeno, il Covid ha di fatto annullato quanto faticosamente raggiunto.

Un’analisi di tale fenomeno è stata fatta dall’OCSE nel rapporto biennale “The missing Entrepreneurs 2021”, in cui vengono esaminate tra l’altro, le politiche pubbliche a livello nazionale, regionale e locale messe in campo dalle istituzioni politiche.

Il volume arriva in un momento critico per i Governi, che devono approntare politiche per una ripresa forte e sostenibile.

Durante la pandemia, infatti, non tutti hanno avuto le stesse opportunità di trasformare le proprie idee in un business. Il vice segretario generale dell’OCSE Yoshiki Takeuchi ha dichiarato: “La mancanza di diversità nell’imprenditorialità è un’opportunità mancata per creare occupazione e crescita sulla scia del COVID-19. Maggiori finanziamenti, investimenti in competenze e supporto per le diverse esigenze dei diversi imprenditori sono fondamentali per creare pari opportunità per coloro che aspirano a gestire la propria attività”.

L’OCSE stima infatti che, se tutti fossero attivi nella creazione di imprese quanto gli uomini in età compresa tra i 30 e i 49 anni, si potrebbero avere ulteriori 9 milioni di potenziali nuovi imprenditori pronti ad iniziare e gestire nuove attività in Europa e 35 milioni nei paesi OCSE.

Sarebbero infatti circa il 50% in più di persone impegnate nella fase iniziale dell’imprenditorialità nell’UE e il 40% in più nei paesi dell’OCSE. Circa tre quarti di questi imprenditori “invisibili o scomparsi” sono donne, la metà ha più di 50 anni e uno su otto ha meno di 30 anni.

Diversi i fattori che impediscono la nascita di nuove imprese: scarsa disponibilità di accedere al credito, carenza di competenze, scarso sviluppo di reti/networks e barriere istituzionali (es. mancanza di assistenza all’infanzia, atteggiamenti sociali scoraggianti).

Questi ostacoli sono spesso interconnessi e sono maggiori, in media, per donne, immigrati, giovani e disoccupati. Questi infatti hanno maggiori probabilità di lavorare ad orari ridotti o di chiudere la propria attività. Un sondaggio OCSE/Facebook/Banca Mondiale suggerisce che le donne nel 2020, ad esempio, hanno avuto una maggiore probabilità di chiudere la propria attività rispetto agli uomini. Ciò è dovuto ad una maggiore concentrazione di imprese nei settori più colpiti dalla pandemia (turismo, servizi alla persona), ad un minor accesso alle risorse e una maggiore difficoltà ad accedere alle misure di sostegno del governo a causa dei criteri di ammissibilità.

Tutto ciò influisce anche sulle ambizioni imprenditoriali e sulle donne in particolare.

Infatti nel periodo 2016-20, meno del 5% delle donne nell’UE è stato coinvolto nella creazione di un’impresa o nella gestione di un’impresa rispetto all’8% degli uomini. Un divario simile è presente anche nei paesi OCSE, dove solo il 9% delle donne avvia e gestisce nuove imprese rispetto al 13% degli uomini. Questi divari di genere sono causati da diversi fattori, barriere nei mercati finanziari, divari di competenze e condizioni istituzionali che influiscono sulle motivazioni, quali ad esempio il fatto che le donne hanno circa il 75% di probabilità in meno rispetto agli uomini di dichiarare di possedere le competenze necessarie per avviare un’impresa. Ovviamente questo divario si traduce in una mancata occasione di crescita economica per gran parte dei paesi UE e OCSE.

Un’altra categoria in difficoltà è quella dei giovani. Il rapporto infatti evidenzia come i giovani creano meno imprese rispetto a quelli di età pari o superiore ai 50 anni. Dei 18 milioni di persone coinvolte nell’avvio o nella gestione di una nuova impresa nel 2020, quasi un quarto aveva più di 50 anni, una quota maggiore rispetto a quelli che avevano tra i 18 e i 30 anni.

Un sondaggio realizzato tra studenti universitari suggerisce che il 45% degli studenti intende avviare un’impresa entro cinque anni dalla laurea, ma solo il 5% delle persone di età compresa tra 18 e 30 anni sta lavorando attivamente a una start-up. Questo calo può essere spiegato da diversi fattori, comprese le lacune nelle competenze. Le persone con meno di 30 anni hanno solo l’85% di probabilità rispetto a quelle con più di 50 anni di avere fiducia nelle proprie capacità e conoscenze per creare un’impresa, per questo sono necessarie politiche di supporto per la realizzazione del loro potenziale imprenditoriale.

Inoltre il divario generazionale solleva molti interrogativi per l’UE su come potrà essere rivitalizzato il settore imprenditoriale quando gli imprenditori più anziani andranno in pensione. Il 45% dei lavoratori autonomi infatti ha più di 50 anni rispetto a un terzo di tutti i dipendenti che hanno più di 50 anni.

È pertanto necessario sostenere concretamente i giovani nella realizzazione del loro potenziale imprenditoriale. Anche se durante la pandemia molti governi hanno rinnovato il loro impegno a sostenere i giovani dopo tale periodo, è però giunto il momento agire rafforzando il sostegno all’imprenditoria giovanile. Le azioni prioritarie devono affrontare il divario finanziario che stanno affrontando i giovani imprenditori e migliorare l’attrattiva delle iniziative di sostegno catturando meglio le prospettive dei giovani nella progettazione delle iniziative.

Ultima categoria coinvolta è quella degli immigrati. Nell’ultimo decennio, la quota degli immigrati tra i lavoratori autonomi nell’UE è quasi raddoppiata passando dal 6% nel 2011 all’11% nel 2020. Questa crescita è dovuta a molti fattori, tra cui l’aumento dei flussi migratori. Tuttavia, la politica imprenditoriale non ha riconosciuto a sufficienza questa tendenza e l’entità del sostegno pubblico è cambiata poco. Anche in questo caso si rendono necessari più sostegno e finanziamenti per migliorare la qualità delle imprese avviate dagli immigrati per aumentare le possibilità di diventare sostenibili e incoraggiarli ad allontanarsi dai settori con un’offerta eccessiva. I governi devono anche prestare maggiore attenzione all’attrazione di imprenditori ad alto potenziale migliorando il raggio d’azione e semplificando i requisiti amministrativi per coloro che utilizzano i visti di avviamento.

Il rapporto spiega come una politica imprenditoriale inclusiva può offrire numerose opportunità a tutti coloro che hanno un’idea per un’impresa sostenibile, indipendentemente dal loro background e dalle loro caratteristiche. Sfruttare questo potenziale può far emergere nuove idee, creare posti di lavoro e contribuire alla crescita economica, fondamentali per una ripresa economica duratura e sostenibile.

Sono stati compiuti molti progressi negli ultimi dieci anni, tuttavia, le politiche e i programmi attuali non sempre hanno affrontato adeguatamente gli ostacoli incontrati dai diversi gruppi di imprenditori. In particolare, sebbene molti governi, abbiano fornito un supporto su misura per questi gruppi, non sempre hanno affrontato adeguatamente i pregiudizi negli ecosistemi imprenditoriali e nelle condizioni istituzionali, né le esigenze dei diversi gruppi di imprenditori. Per tale motivo, sottolinea ancora il rapporto, i Governi dovrebbero includere nelle loro politiche tre priorità di azioni:

1. finanza: aumentare i finanziamenti alle start-up, in particolare la microfinanza per le persone che devono affrontare ostacoli nei mercati finanziari tradizionali, comprese donne, giovani e immigrati. Si stima che la domanda insoddisfatta di microfinanza nell’UE sia attualmente di 14 miliardi di euro all’anno. I governi devono iniettare più capitale in questo mercato poiché la maggior parte dei finanziatori si rivolge a clienti di gruppi sottorappresentati e svantaggiati;

2. competenze: è necessario migliorare i programmi di sviluppo di competenze per sostenere le aspirazioni dei gruppi più svantaggiati e aumentare le possibilità di sviluppare imprese sostenibili, anche in materia di alfabetizzazione finanziaria, competenze digitali e senso degli affari. I divari di competenze in queste aree sono in genere maggiori tra gli imprenditori di gruppi sottorappresentati e svantaggiati. Un maggiore uso del coaching può colmare queste lacune migliorando la pertinenza del supporto ai bisogni individuali, in particolare quelli che incontrano ostacoli ai programmi di formazione;

3. Sostegno su misura: le valutazioni in genere rilevano che i programmi di sostegno su misura hanno tassi di adesione più elevati, livelli di soddisfazione elevati e risultati più positivi rispetto a quelli generali. Gli imprenditori di gruppi sottorappresentati e svantaggiati necessitano di un sostegno più personalizzato per affrontare i pregiudizi sistemici e i maggiori ostacoli alla creazione di imprese, compresa la formazione, il coaching e il networking. È importante quindi tenere in considerazione le esigenze dei diversi gruppi e le condizioni locali. I governi possono raggiungere questo obiettivo coinvolgendo nella progettazione delle politiche gruppi diversi per garantire tutte le differenti esigenze.

Il report in lingua inglese è visionabile al seguente indirizzo: “The Missing Entrepreneurs.

(Maria Di Saverio)

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