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Teatro, con Veronica Liberale uno spettacolo nel segno della “Laurentina”

L’immigrazione, che contribuisce a fare le fortune di più di qualche formazione politica (non solo a destra), è ancora un tema divisivo. Ciò nel nuovo millennio dovrebbe lasciare basiti, dal momento che ormai più generazioni di studenti hanno avuto il simpatico compagno di classe di origine romena o asiatica e tante persone anziane vengono assistite con coscienza dalla badante ucraina o filippina. Insomma, la comprensione – prima antidoto contro la discriminazione – avrebbe dovuto perlomeno attenuare i diffusi preconcetti animati per lo più dall’ignoranza, intesa come non conoscenza.

Invece, in una società sempre più individualista, complessa e soprattutto intollerante, continua ad essere un’esigenza l’atto di “educare” all’accoglienza del prossimo. Con il rischio, però, di cadere facilmente nella retorica, nel moralismo, nel “politicamente corretto” o nella predicazione dai pulpiti dell’occorrenza.

Farlo da un palcoscenico teatrale con leggerezza e intelligenza, generando più di un sorriso agli spettatori, ma anche invitando nel contempo a riflettere, è l’operazione pienamente riuscita a Veronica Liberale, autrice della pièce “Direzione Laurentina”.

I lavori della Liberale, autrice formatasi al Teatro Ateneo dell’Università la Sapienza di Roma, sono sempre ad alto tasso di umanità. La narratrice tocca sempre temi sociali, come l’autismo infantile al centro di “Gregory”, il mondo delle scuole serali in “Che classe”, la ricca umanità del quartiere romano di San Lorenzo in “Pane, latte e lacrime”. E lo fa con una delicatezza esemplare.

Racconta la stessa autrice: “Il teatro è diventato per me il luogo dove poter sognare, raccontare e creare personaggi di carta e inchiostro, che in palcoscenico diventano di carne e sangue e respirano e vivono davanti a una platea anch’essa viva. Ecco perché il teatro è un luogo speciale, perché è vita”.

Come in Pasolini o in Fellini, ma anche in Gadda o in Rossellini, fino a Carlo Verdone, la Liberale attinge i suoi pittoreschi personaggi dalla quotidianità capitolina, impastata di una natura umana quasi sempre stravagante e grottesca, istrionica e indolente, sarcastica e poetica, mai banale. Fuoriescono affreschi d’autore.

Così anche in “Direzione Laurentina” i cinque protagonisti costituiscono uno spaccato compiuto di una Roma moderna e plurale, forse eterna nella sua attualità, dove s’incontrano sopravvivenze periferiche e macchinosità radicalchic, profondità di culture “altre” e drammi familiari affrontati con istintiva incoscienza.

La bravura degli attori (Alberto Afflitto, Pamela Branca, Francesca Cirilli, Paola de Sanctis, Walter Maggio e Silvia Scarsi) e l’ottima regia di Marco De Riso assicurano valore accessorio ad un testo ben strutturato, messo in scena al Teatro degli Astri, in via dell’Orsa Minore al Torrino.

La trama mentalmente rimanda a “Sliding doors”, lo splendido film del 1998 diretto da Peter Howitt, che a sua volta aveva preso spunto dai film “Destino cieco” e “La doppia vita di Veronica” del regista polacco Krzysztof Kieślowski. Il tema è quello delle diverse possibili dimensioni di vita: non riuscire a prendere un treno programmato può cambiare un intero percorso esistenziale.

Di treni, quelli metropolitani, si parla anche in “Direzione Laurentina”. E forse, ci permettiamo di proporre, “Destinazione Laurentina” sarebbe il titolo più centrato, visto il finale a sorpresa del racconto.

La trama si sviluppa in una serata romana d’autunno, inzuppata da un memorabile acquazzone.

Manolo, uno dei protagonisti, è una guardia giurata in stile Alberto Sordi. È nostalgico del Ventennio, fan di Renato Zero, tendenzialmente aggressivo, con un linguaggio non proprio acquisito frequentando atenei ad Oxford o Cambridge. Ovviamente non vede di buon occhio Abused, il venditore ambulante profugo afghano, che ha raggiunto a piedi il nostro Paese e si ritrova anche lui in metro ad offrire abborracciate esibizioni canore pausiniane e ramazzottiane per sbarcare il lunario.

Con loro c’è Benedetta, l’elegante professionista dell’Eur subito ribattezzata “Cicalona” dall’energumeno in divisa, che non lesina approcci goffi, ma efficaci.

A completare il quintetto ci sono Imma, “sensibile” ragazza incinta di padre rigorosamente ignoto (agli altri) e sua madre Teresa, orgogliosamente “made in Magliana”, con un vocabolario incentrato sullo strafalcione e appassionata frequentatrice di tutto il suo caseggiato, a cominciare dal portiere.

I cinque si ritrovano sulla banchina della metropolitana di Roma, stazione Policlinico.

La futura mamma, fresca di monitoraggio al Policlinico, ha un malore e gli altri, per soccorrerla, perdono l’ultimo treno e scoprono di essere rimasti chiusi dentro la stazione. Sono quindi dei conviventi forzati. Dei “compagni di sventura”. E saranno a lungo isolati sia perché i telefonini non hanno copertura di rete sia per la proclamazione dell’immancabile sciopero dei mezzi.

L’irreale condizione dei malcapitati, costretti alla coesistenza, offre lo spunto per un’evoluzione molto divertente e metaforica della vicenda. L’analisi sociologica del mondo sotterraneo vien da sé, con il brulicare di variegata umanità metropolitana preda spesso di insofferenze e smarrimenti, amarezze e solitudini, ma anche adattamento e pragmatismo quale ultima risorsa. Emergono, come in una liberatoria seduta psicologica collettiva, i piccoli-grandi segreti individuali, i tanti tabù e i misfatti dei protagonisti, le crisi a lungo soffocate, i pregiudizi.

Il finale è inaspettato. Altera intenzionalmente la leggerezza della commedia, trasportandola verso una “dolorosa” e oggettiva tragedia. Interrompe bruscamente la favola riportandoci nella realtà quotidiana, con la saga degli istinti, l’incoscienza degli atti e una “giustizia” quasi sempre ingiusta perché condotta dagli uomini.

Il finale volutamente divide la platea e obbliga alla riflessione. Non mancano, infatti, coloro che chiedono se la storia sia vera, proprio per il suo alto tasso di emozionalità. Medaglia al merito all’autrice.

Lo spettacolo va visto. E prossime occasione, ci auguriamo, non mancheranno dopo i tre giorni di programmazione a gennaio. Soprattutto con questa compagnia teatrale, che è decisamente e passionalmente all’altezza di un testo ben articolato e gradevole. Laddove la costruzione e il succedersi dei personaggi è nel segno del massimo equilibrio. E l’ottimo taglio comico assicura risate pure allo spettatore più refrattario.

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