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Il ruolo delle aziende quando lo Stato arretra

MamoneLa Ragioneria generale dello Stato, nell’ultima analisi riferita al 2015, evidenzia i problemi “demografici” della pubblica amministrazione. L’età anagrafica di oltre la metà dei dipendenti pubblici è superiore ai cinquant’anni: su poco più di tre milioni di “statali”, oltre un milione e 660 mila è nato, appunto, prima del 1967, mentre i lavoratori giovani, quelli sotto i trent’anni, sono appena 81mila, cioè il 2,7 per cento del totale. Meno di tre ogni cento. Facendo rientrare nei “giovani” tutti quelli sotto i 35 anni, il dato resta basso, appena il 6,8 per cento del totale.

La Ragioneria prevede che entro il 2019 si raggiungerà l’età media di 53 anni, tra le più alte d’Europa.

Le cause di una situazione che incide non poco sulla bassa produttività – frutto anche di motivazioni ridotte ormai al lumicino – e sulla scarsa informatizzazione del nostro comparto pubblico sono molteplici. Per molti anni, soprattutto tra i Sessanta e gli Ottanta, il “posto pubblico” è stato utilizzato dalla politica come gestione del consenso, gonfiando a dismisura le piante organiche di ministeri ed enti locali, nonché moltiplicando i centri di spesa. Di conseguenza, specie a fronte dei diktat europei sui vincoli di finanza pubblica, già dalla fine del secolo scorso ha avuto inizio l’attuale lunga fase di snellimento degli uffici pubblici che ha portato alla drastica riduzione delle assunzioni e al declino quantitativo e qualitativo dei servizi. Nel contempo, le riforme previdenziali, ad iniziare dalla “Fornero”, hanno pesato sulla riduzione del ricambio generazionale.

Oltre all’età media alta, c’è un altro problema crescente: le conseguenze dei tagli. Nei prossimi anni sugli organici della pubblica amministrazione peserà un crescente esodo di quanti raggiungeranno i requisiti previdenziali e diranno addio al lavoro: nel giro di un decennio sarà almeno un terzo dell’attuale forza-lavoro, la metà nel giro di meno di quindici anni. Sono infatti i protagonisti del baby-boom degli anni Sessanta quelli che lasciano le scrivanie e, i più, svolgeranno la funzione di nonni a tempo pieno (o, al limite, “adotteranno” il classico cane da portare ai giardini). Nel dettaglio, dal 2018 al 2022 ad avere i requisiti per la pensione saranno quasi 400mila lavoratori. Viste le finanze pubbliche (tra l’altro con l’aumento della spesa pensionistica), saranno rimpiazzati solo in parte, accentuando il declino dei servizi, soprattutto sui fronti della sanità e della sicurezza, ma anche della scuola e degli enti locali.

Cosa servirà, allora, per attenuare gli esiti di questa diaspora? Innanzitutto occorrerà puntare sulle nuove tecnologie che potranno sostituire – per quanto amaramente – risorse umane, spesso migliorando anche le prestazioni. Inoltre il ricambio, se orientato al merito e non alle clientele, potrà incrementare la qualità media del personale, puntando sulle specializzazioni in linea con i tempi e sui reali fabbisogni professionali. Infine sarà decisivo il ruolo dell’imprenditoria privata, che – in modo capillare ed etico – dovrà garantire la prosecuzione di quegli ambiti di servizi su cui lo Stato sta retrocedendo. Ad iniziare da un welfare sempre più essenziale per strati crescenti di popolazione.

(Domenico Mamone)

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