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Terminate le lezioni, perché chiudere le scuole?

MamoneCome sindacato degli imprenditori, abbiamo sempre riservato massima attenzione all’istruzione scolastica. Perché senza ottime educazione e formazione, non si realizza un tessuto imprenditoriale d’eccellenza. Tra l’altro con l’alternanza scuola-lavoro, rafforzata nelle ultime stagioni con la cosiddetta “Buona scuola”, le aziende sono coinvolte direttamente – e con grandi responsabilità – nella trasmissione delle conoscenze alle nuove generazioni.

Ecco perché la proposta lanciata dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli di tenere aperte le scuole anche d’estate, principalmente per venire incontro alle esigenze dei genitori, merita attenzione. Va detto che è tuttora in vigore una direttiva del 1997 che prevede proprio questo, cioè scuole aperte anche fuori dal calendario ufficiale. Ma attuarla è stato sempre difficoltoso, sia per la scarsa disponibilità di buona parte del personale docente e ausiliario sia per una certa carenza progettuale che rischia di ottenere il contenitore, ma non una collaborazione sui contenuti. Quando l’apertura viene attuata, infatti, a farsene carico in genere sono organismi estranei al contesto scolastico, che operano in convenzione, spesso senza linee-guida chiare.

Tutto ciò avviene in uno scenario problematico.

Una prima questione di fondo, ad esempio, è data dagli oltre tre mesi consecutivi di vacanze scolastiche che rispondono ad un arcaico modello familiare in cui l’uomo lavorava e la moglie, casalinga, poteva dedicarsi tutto l’anno ai figli. A favore delle vacanze scolastiche lunghe estive s’è sempre espresso anche il tessuto imprenditoriale turistico. Oggi non è più così e le stesse ferie dei lavoratori sono sempre più spalmate nel corso dell’anno e non concentrate nella sola estate. Rimodulare il calendario scolastico potrebbe costituire una prima strada per valorizzare il ruolo degli istituti in estate e rilanciare occasioni di valorizzazione turistica in altri periodi dell’anno, ad esempio con le settimane bianche o le fattorie didattiche. Ciò potrebbe anche costituire un’occasione di lavoro per giovani animatori culturali, istruttori sportivi, psicologi, insegnanti precari, mediatori per studenti figli di immigrati ecc., ma anche per imprese specializzate nella formazione. Le famiglie potrebbero eventualmente contribuire economicamente in base alle proprie possibilità, avendo in cambio dei servizi a costi calmierati.

C’è una seconda questione: la finalità dell’apertura suppletiva. Se questa è mirata soltanto ad assecondare le esigenze di genitori-lavoratori alle prese con la necessità di garantire un’assistenza per i figli, il classico “parcheggio estivo”, come sembra trasparire dalle dichiarazioni della ministra, occorre richiamare la tradizionale dicotomia  tra una scuola “mutualistica” e una formativa ed educativa. Insomma, la scuola non può acquisire la mera funzione di “salvagente” per famiglie alle prese con la “collocazione” mattutina della prole a giugno e luglio.

Certo, un problema “sociale” esiste, le alternative offerte dai centri estivi privati sono spesso caratterizzate da prezzi proibitivi per molti genitori, mentre le proposte comunali sono sempre più assottigliate e a numero chiuso. Talvolta per la “ciambella di salvataggio” si ricorre agli impagabili nonni o alle parrocchie, che possono ridurre i costi gestionali grazie al volontariato (non a caso i dati rilevano un grande ritorno degli oratori, specie nel Nord Italia). Tuttavia il problema non è soltanto l’apertura (tra l’altro, tra esami e altre incombenze gli edifici scolastici sono attivi anche oltre il calendario scolastico); la questione centrale sono gli obiettivi.

Quindi se l’idea di tenere aperte le istituzioni scolastiche, anche d’estate, è indubbiamente intelligente, occorrerebbe arricchirla con una programmazione altamente formativa, in grado di offrire un ventaglio di attività ludiche e culturali coniugato con, ad esempio, corsi per recuperare debolezze scolastiche o occasioni di proficua aggregazione “extraclasse”. La stessa alternanza scuola-lavoro potrebbe trovare appendici in periodi d’inizio estate.

L’apertura degli spazi fisici riservati al sapere oltre gli orari di rito è un’esigenza avvertita dagli stessi studenti, prima dei genitori (o dei ministri). Negli atenei le richieste “dal basso” vanno spesso in questa direzione, con la sperimentazione di aperture h24 – è il caso delle “notti bianche” – finalizzate a dare spazio principalmente alle cosiddette “culture altre”, o alternative. Lo stesso si può dire per le autogestioni più responsabili negli istituti superiori, dove a scuola irrompono materie nuove e, talvolta, più attuali di tante inserite nelle programmazioni più vetuste.

(Domenico Mamone)

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