Un giovane su cinque non studia, non lavora, non segue corsi di formazione. Succede in Italia. Accade, cioè, in un Paese reputato tra quelli “civili”. In una nazione che fa parte del G7, cioè dei Paesi più industrializzati al mondo. Ma il freddo dato diffuso nelle ultime ore da un Rapporto della Commissione europea – la percentuale di ragazzi “Neet” (Not in employment, education or training) tra i 15 e i 24 anni è oggi esattamente al 19,9 per cento in Italia, quasi il doppio della media europea all’11,9 – nasconde una realtà umana drammatica, con giovani a cui, nell’indifferenza generale, da anni si sta strappando il futuro. Ragazzi costretti a vivere sotto la “protezione” di genitori o nonni (quando ci sono) fino ad età avanzate. Oppure ad emigrare all’estero.
Non è certo una novità. Perché il dato sui “Neet” è cristallizzato da tempo (era al 22,2 per cento nel 2013) e unito alla crescita della povertà (all’11,9 per cento, aumentata in Europa solo da noi insieme ad Estonia e Romania) e ai numeri della disoccupazione giovanile rileva un’emergenza che dovrebbe perlomeno registrare segnali di attenzione da parte della politica. Che invece preferisce concentrarsi ora sulla legge elettorale, ora sullo ius soli, ora sui vitalizi, ora sull’apologia del fascismo, ora sulle alleanze per le prossime verifiche alle urne.
A livello europeo la risposta principale al problema dei “Neet” è l’iniziativa “Garanzia Giovani”, entrata in vigore il 1° maggio 2014. Ma nel tempo, ha maturato più ombre che luci. L’Italia ha ricevuto 1,5 miliardi di euro dall’Unione europea per finanziare il programma, ma le risorse sono finite nelle maglie burocratiche delle Regioni. Per cui nei territori dove il sistema di politiche attive è più performante e l’economia in migliori condizioni, l’iniziativa ha prodotto buoni risultati. Come in alcune aree del Nord Italia. Altrove s’è risolta in un mezzo flop, con stagisti lasciati senza stipendio per mesi.
Ben vengano gli stage, sia come momento formativo sia per assicurare comunque un’entrata economica e un’attività a dei giovani. Ma questa vera e propria emergenza generazionale non si può affrontare con palliativi, cioè tirocini, bonus o detassazioni generalizzate. Occorrono provvedimenti mirati inseriti in un serio piano di investimenti a livello nazionale ed europeo.
UNSIC – Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori
