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Quali effetti del protezionismo (a parole) di Trump?

Domenico MamoneUn interessante report prodotto di recente dall’Ismea e presentato nei giorni scorsi a Roma presso il Centro Studi Americani cerca di prevedere i prossimi sviluppi della politica commerciale degli Stati Uniti dopo i proclami “neo-protezionisti” del presidente Trump (la strategia denominata “America First”). Come noto, tale disegno potrebbe includere un maggiore ricorso ad accordi bilaterali e proporre dazi anti-dumping, sconfessando molti trattati internazionali animati dal libero mercato.

Ismea traccia diverse ipotesi conseguenti al grado d’intensità di tali politiche “autarchiche”: l’esito più nefasto per il nostro Paese, secondo i calcoli dell’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, comporterebbe perdite di 1,4 miliardi di euro nelle esportazioni verso gli Stati Uniti, di cui oltre 300 milioni nel solo settore agroalimentare. Una “tegola” più pesante dell’embargo russo.

Tali previsioni sono supportate dai numeri reali: l’export agroalimentare italiano verso gli Usa vale oggi complessivamente 3,8 miliardi di euro. E’ costituito per la metà dai comparti del vino (1,3 miliardi, il 35% del totale) e dell’olio (circa 500 milioni, pari al 13%). Rilevante anche il peso delle esportazioni di formaggi e latticini (289 milioni di euro, 8% del totale), della pasta (244 milioni, pari al 6%), dei prodotti dolciari (198 milioni, 5%) e dell’ortofrutta trasformata (196 milioni, 5%). Gli States rappresentano il terzo acquirente delle esportazioni italiane, sia complessive sia agroalimentari.

L’aspetto più preoccupante è che una politica di chiusura da parte americana interromperebbe un trend altamente positivo per le esportazioni del “made in Italy” in terra statunitense. Dal 2010 l’export agroalimentare italiano negli Usa è infatti cresciuto del 70%. E nei primi mesi del 2017 abbiamo superato i 23 miliardi di euro. Percentuali e numeri che rendono bene l’idea di quanto sia strategico il mercato statunitense soprattutto per le nostre piccole e medie imprese, spesso favorite dalle rilevanti presenze di operatori di origine italiana in terra americana.

Insomma l’Atlantico resta un asset strategico non solo per noi italiani, ma un po’ per tutto il vecchio continente, i cui rapporti commerciali con l’oltreoceano sono radicati da sempre.

I risultati dello studio indicano che un maggiore protezionismo da parte degli Stati Uniti finirebbe per produrre effetti negativi sulla stessa economia americana, sgonfiando i mercati globali. Tuttavia le conclusioni non sono improntate, necessariamente, ad un drastico pessimismo. “In estrema sintesi – scrive Ismea – le simulazioni realizzate nello studio mostrano effetti relativamente modesti rispetto all’allarmismo alimentato dagli annunci di Trump e, dunque, sembrano suggerire il messaggio che Trump – almeno sul fronte delle politiche commerciali – sia ‘un cane che abbaia ma non morde’. Quello che l’amministrazione Usa può fare, rispettando le regole dell’Omc ha effetti molto scarsi e colpirebbe, essenzialmente i suoi attuali partner del Nafta. E anche con scenari estremi, in termini di rottura delle regole multilaterali e uscita dagli accordi esistenti, i risultati non sono stravolgenti. L’unico scenario che mostra effetti più consistenti è quello della guerra commerciale, che è anche quello dove gli Stati Uniti registrerebbero le maggiori perdite. Se questo è vero sul fronte strettamente economico e, soprattutto, in termini statici, l’effetto dinamico in termini geopolitici potrebbe essere però molto più consistente e meno controllabile”.

Pertanto – è l’indicazione di policy che emerge – per l’Italia e l’Unione Europea si tratta di partecipare ai negoziati con piena consapevolezza dei diversi scenari possibili e delle conseguenze attese per ciascun attore. Non va infatti sottovalutato il paradosso per cui alla spinta protezionista non possa seguire una maggiore liberalizzazione del mercato.

Insomma, l’augurio è che le minacce di Trump rispondano più all’immagine “forte” che il personaggio s’è costruito che non all’intenzione di apportare una radicale sterzata all’economia liberista americana.

Qui è possibile consultare il report integrale dell’Ismea

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