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Autunno caldo

Domenico MamoneL’economista Mario Seminerio, sul “Foglio” di oggi, richiama un vecchio proverbio indiano che recita “nominare la tigre nella giungla significa farla apparire”. E lo fa a proposito di certe continue dichiarazioni economiche che alcuni esponenti di governo sfornano incoscientemente ormai di continuo. Come, ad esempio, sul solito “piano B” o sulla volontà di portare comunque avanti il pacchetto di promesse elettorali che equivale ad un impegno di spesa stimato in non meno di cento miliardi. L’Italia, con un debito pubblico al 132 per cento del suo Pil, non se lo può assolutamente permettere.

Tutto ciò, tra l’altro, stride – e molto – con una situazione congiunturale economica che non sorride certo al nostro Paese.

Il primo problema è l’esaurirsi del quantitative easing voluto da Mario Draghi, che ha garantito all’Italia sonni abbastanza tranquilli. E lo spread tenuto a lungo sotto controllo è equivalso ad un “tesoretto” di circa dieci miliardi all’anno, mentre oggi, tornato sopra i 250 punti base, determina un maggior costo di due miliardi di euro di interessi annuali che il Tesoro deve sborsare agli acquirenti dei Btp.

Certo, i governi degli ultimi anni, pur beneficiando di una situazione piuttosto favorevole (perlomeno rispetto a quella odierna), non si sono molto impegnati per attuare quelle riforme che s’invocano da sempre, cioè il riordino fiscale e la lotta al sommerso, la sburocratizzazione, i tagli ai privilegi e alla spesa improduttiva. La conseguenza è stata comunque una crescita ulteriore del debito pubblico (400 miliardi solo nel periodo renziano), un ulteriore calo di competitività e produttività ed un lavoro qualitativamente sempre più scadente.

La prima questione al tappeto è come rifinanziare – con oltre 400 miliardi all’anno – i titoli del debito pubblico. Se le aspirazioni nazionalistiche di riacquisto del nostro stock di debito con soluzioni “made in Italy” appaiono irrealizzabili, c’è chi tira in ballo le potenze mondiali, cioè Russia, Usa e Cina. Staremo a vedere.

Un’altra preoccupazione riguarda il rapporto con un’Europa sempre più sorda e in difficoltà: gli scontri sull’immigrazione costituiscono non certo il migliore antipasto per eventuali richieste di flessibilità. E le previsioni elettorali per maggio non promettono niente di buono sul fronte della governabilità comunitaria, con la prevedibile crescita delle forze euroscettiche e antieuropeiste.

Servono, insomma, senno e concretezza e soprattutto meno dichiarazioni da slogan elettorali per evitare che una tempesta finanziaria ci colga del tutto impreparati e, soprattutto, incoscienti.

(Domenico Mamone)

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