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L’UNSIC, un’organizzazione in continua crescita!

Domenico Mamone – Presidente dell’Unione Nazionale Sindacale Imprenditori e Coltivatori

Se permettete, parliamo un po’ di noi. La nostra famiglia, la nostra Unione, si allarga, con il rinnovamento delle sedi, e nuove realtà che alzano la nostra insegna. Da Brescia, a Chieti a Catania, e scelgo qui solo tre città, a diverse latitudini lungo la penisola, per rappresentare una crescita che non ha connotazioni regionali, ma che appare di scala nazionale. Rafforziamo ed estendiamo la rete dei servizi alle aziende, in un momento storico molto delicato, che vede la aziende richiedere in maniera crescente servizi sempre più complessi. Servizi che una piccola azienda non può finanziare con proprie risorse umane, ma che sono quanto mai necessari: dalla consulenza legale alla formazione… Siamo impegnati nella ripresa: e la ripresa si fa con la proposta, e, quando serve, con la protesta. Siamo quindi solidali con l’Unsic di Gela, che ha manifestato per l’acqua, che manca tanto per il grave problema del cambiamento climatico, quanto per errori e inefficienze della gestione delle risorse. Se la prima causa è globale, la seconda è vicina, locale, e può e deve essere affrontata e risolta. Per le proposte, no crediamo da sempre che le imprese possano e debbano tornare ad assumere, per rimettere il Paese al lavoro, battere il clima di sfiducia, simbolizzato negli insopportabili luoghi comuni dell’Italia che non sarebbe “un Paese per giovani”, e da cui i giovani “devono scappare”. I nostri dell’Unsic di Acri, in provincia di Cosenza, hanno tenuto un importante convegno a livello regionale sukll’occupazione e il programma europeo della Garanzia Giovani. Abbiamo sempre sostenuto che, se l’impresa deve essere libera, pure gli imprenditori non possono farcela da soli, senza fare rete con le istituzioni, le associazioni, senza investimenti e politiche pubbliche, senza quelle “esternalità positive” che soltanto una spesa pubblica, riformata e resa efficiente, può garantire. Noi, Unsic, ci sentiamo, proprio perché rappresentanti di tante imprese, soprattutto piccole imprese legate al territorio, ci sentiamo corresponsabili nel lavoro di costruzione di una società più libera e più equa. Il programma di Garanzia Giovani ha segnato l’arrivo in Italia di quei modelli europei avanzati di politiche attive, che mirano ad intervenire nella partecipazione dei giovani al mercato del lavoro, e che è stata sperimentata, prima di estenderla all’Unione Europea, in Austria e in altri Paesi. Ha funzionato, e può funzionare anche da noi. Dico “può”, perché in un’Europa che non è ancora unita, occorre avere ben chiaro le distanze tra Roma e Vienna. Le differenze, e i rischi, ci sono: tra gli altri, è giusto ricordare la fragilità strutturale dei Centri per l’impiego, quelli pubblici in primo luogo. Soffrono anche, di conseguenza, i soggetti privati, le Agenzie per il lavoro nate con la legge Biagi e oggi tutti quei soggetti che possono e vogliono partecipare alle iniziative di Garanzia Giovani. Qui occorre portare nuove competenze, nuove risorse, nuove figure nell’attività di fornitura di orientamento, sostegno attivo e ricerca di opportunità: e crediamo quindi che debbano essere coinvolte meglio gli organismi di rappresentanza delle imprese e l’impresa stessa. Tra le misure della Garanzia giovani, quella del sostegno all’imprenditorialità ha ai nostri occhi un valore particolare: non percepiamo, difatti, la Garanzia giovani solo come un bacino di potenziale manodopera per le imprese che già ci sono, ma ci sentiamo anche moralmente impegnati ad ampliare la cultura d’impresa diffusa e le opportunità di creazione di nuove imprese. Si tratta di interpretare la modernità: credo che sarebbe illusorio, e neppure in buona fede, promettere una soluzione finale alla disoccupazione giovanile meridionale in termini della scoperta di una vena aurifera di assunzioni; sarà più onesto e anche utile sostenere l’imprenditoria diffusa e il nuovo lavoro autonomo flessibile che del resto da pochi giorni il governo ha voluto inquadrare in una nuova cornice giuridica, con il disegno di legge sul lavoro autonomo di questo gennaio. Questo nell’orizzonte strategico di creare un lavoro che ancora non c’è. Un ultima annotazione, a questo proposito: leggo ormai spesso la denuncia, che toni forse esagerati, sul ritorno dell’emigrazione tra i giovani del nostro Sud. Ebbene, il fenomeno c’è, ma non necessariamente è quello delle valigie di cartone e dei treni della speranza: nell’economia globalizzata, tenere i giovani calabresi legati alle gonne della mamma non ha senso. La sfida invece consiste nel consentire l’andata e… il ritorno: consentire ai giovani quella mobilità anche transnazionale, prevista dalla garanzia giovani, con l’idea che non si tratti di un abbandono o di un drenaggio di cervelli, ma di un’apertura di opportunità che abbia a ricaduta la capacità di tornare con le competenze migliori.

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