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Lactalis è il mercato, ma attenzione alle furbate

L’acquisto dell’intero capitale sociale della Nuova Castelli, azienda di Reggio Emilia che è il principale protagonista dell’export del Parmigiano Reggiano, da parte del gruppo francese Lactalis della famiglia Besiner, ha riacceso i fari sui tanti storici marchi italiani ormai in mano a società straniere. Non è una novità: diventa sempre più difficile, sui banchi di un supermercato, saper distinguere un prodotto autenticamente italiano praticamente in tutti i settori del food.

Al di là degli aspetti romantici, comunque importanti, o del sovranismo che investe anche il settore alimentare, siamo sempre più immersi nell’economia globale e le proprietà delle aziende sono quanto mai flessibili: è sempre più raro, in sostanza, il fenomeno fortemente italiano dell’impresa in mano alla stessa famiglia da generazioni.

Fatto sta che soltanto le multinazionali francesi sono proprietarie del 30 per cento del mercato nazionale in comparti strategici del settore lattiero caseario. La Lactalis, ad esempio, che ha una presenza commerciale e distributiva in oltre 140 paesi nel mondo, ha rilevato nel corso degli anni marchi storici come Cadermartori, Galbani, Invernizzi, Locatelli e Parmalat; oggi vanta ben 29 siti di produzione e una rete di oltre 5.500 collaboratori.

Nuova Castelli, l’azienda venduta ai nostri “cugini” transalpini, è specializzata nella produzione e distribuzione di numerosi prodotti caseari italiani, tra cui Parmigiano Reggiano, Mozzarella di Bufala Campana e Gorgonzola, e opera con 13 siti di produzione in Italia e tre all’estero. Nel 2018 l’azienda ha realizzato un fatturato di 460 milioni di euro, dei quali circa il 70 per cento grazie all’esportazione.

L’operazione, che ovviamente comporta inevitabili scudi ideologici da parte dei sostenitori del “made in Italy”, a ben vedere non cambia lo stato delle cose, almeno nel caso specifico della Nuova Castelli: l’azienda era di fatto già straniera, essendo in mano al fondo di investimento inglese Charterhouse Capital Partner, che ne deteneva l’80 per cento delle azioni.

Casomai le preoccupazioni dovrebbero riguardare possibili delocalizzazioni, come già avvenuto per la Parmalat. Certo, l’ipotesi di trasferire attività produttive all’estero – recente il caso della Pernigotti – appare più difficile per beni fortemente legati al valore della territorialità, come nel caso del Parmigiano Reggiano, che finirebbe per perdere anche il Dop garantito da rigidi protocolli. Indubbiamente, però, occorrerà vigilare per la competitività del sistema produttivo nazionale, per evitare di cadere nella dipendenza alimentare, prevenendo aspetti poco piacevoli come le minacce – già operate da Lactalis – di ridurre unilateralmente il prezzo del latte alla stalla sottoscritto solo pochi mesi fa.

E’ chiaro che se un’azienda italiana va in crisi, ben vengano i capitali stranieri. In fondo gli investimenti animano l’economia e i mercati, apportando benessere ad un territorio. L’economia liberale è questa. Tuttavia gli investimenti andrebbero collegati a progetti autorevoli, concreti, seri, che debbono tener conto del legame tra prodotto e territorio, nonché dell’aspetto occupazionale. E qui il ruolo di proposta e di vigilanza da parte della politica è basilare.

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