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Le imprevedibili urne francesi

Le elezioni francesi hanno dato il responso. Volute d’urgenza dal presidente Macron per fermare l’onda nera con una mossa da partita di poker (riuscita a metà) e caratterizzate dalla desistenza – cioè un candidato unico del centrosinistra in ogni collegio contro quello di destra per non disperdere voti – hanno segnato principalmente la sconfitta del Rassemblement national di Marine Le Pen e di Jordan Bardella rispetto ai sondaggi della vigilia. Tuttavia, in fondo, nessuno ha stravinto e le letture del voto sono contrastanti.

Di certo, chi ha conquistato più seggi è la grande coalizione di sinistra, il Nuovo fronte popolare. Ora ne ha 184: in dettaglio, 78 per l’estrema sinistra di Mélenchon (che ne aveva 75); 69 per i socialisti di Olivier Faure (che ne avevano 31); 28 per i Verdi di Marine Tondelier (che ne avevano 23); 9 per i comunisti (che ne avevano 22). I partiti del Nuovo fronte popolare guadagnano, in sintesi, 33 seggi. La desistenza ha dato i suoi frutti, ma è una vittoria zoppa perché la sinistra, da sola, non potrà governare e i programmi di Mélenchon – dal reddito minimo di 1.600 euro alla pensione a 60 anni fino alla patrimoniale – appaiono difficilmente realizzabili.

La coalizione di centro, con 166 seggi, è al secondo posto. Renaissance, il partito di Emmanuel Macron, ne ha 99 (ne aveva 169); il Mouvement démocrate scende a 33 (ne aveva 51); Horizons, il partito dell’ex premier Édouard Philippe, ha 26 deputati (erano 30). I Républicains, con l’ex leader Éric Ciotti passato con la Le Pen, hanno 39 seggi (ne avevano 62).

Al terzo posto l’estrema destra del Rassemblement national con 143 eletti (ne aveva 88). Rn ha comunque conquistato il 29,2% dei voti al primo turno e il 32% al secondo, mentre nel 2022 i voti raccolti furono il 18,6% e il 17,3%.

Insomma, se è vero che grazie alla mobilitazione è stata annullata la prospettiva di una Francia governata dalla destra estrema, ora il percorso per la formazione del nuovo governo – probabilmente di centrosinistra – non sarà certamente agevole e rischia di alimentare ulteriormente le istanze delle forze più radicali, tanto a destra quanto a sinistra. Dopo la tregua olimpica vedremo.

Di certo anche la Francia vive la crescita delle formazioni più estremiste a scapito dei partiti moderati. È conseguenza innanzitutto delle stagioni segnate dall’inflazione, del conseguente crollo del potere d’acquisto, dall’espansione delle povertà e della sofferenza sociale. È crescente l’insofferenza verso le istituzioni, tanto nazionali quanto europee. Poi c’è il caso specifico di un’immigrazione più estesa rispetto ad altri Paesi europei (gli islamici sono cinque milioni), che rievoca anche lunghe storie coloniali e vede le difficoltà d’integrazione soprattutto nelle periferie cittadine: se l’estrema sinistra è la formazione di maggior riferimento per queste classi sociali (secondo sondaggi tra il 60 e l’80 per cento degli elettori islamici avrebbe votato Mélenchon), di contro la destra calamita il voto di coloro che temono la cosiddetta “sostituzione etnica” e il clima di insicurezza sempre più diffuso. Insomma, su questo terreno di scontro si alimenta l’espansione degli estremismi di destra e di sinistra.

L’estrema sinistra trae poi linfa dal voto giovanile filo-palestinese e dall’attenzione alle tematiche ambientaliste. 

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