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Europa e Italia

Gentiloni eredita da Renzi il dossier più importante, difficile e complicato: quello europeo. La crisi di governo poteva mandare all’aria un equilibrio delicato, con conseguenze gravi. Due segnali: il primo, il commissario europeo all’immigrazione Avramopoulos. il 7 dicembre dichiara solo il 20% dei profughi che sbarcano in Italia sono di interesse europeo per eventuali ricollocamenti e gli altri sarebbero “migranti economici”.  Avramopoulos semplifica, perché si concentra sui richiedenti asilo secondo la Convenzione di Ginevra, che ha criteri stretti (occorre dimostrare una persecuzione individuale dal proprio governo), i soli in effetti ad avere titolo ad una ricollocazione secondo il regolamento europeo detto “di Dublino”. Risultati immagini per eurogruppo Ma semplifica perché gli fa comodo: in verità sono il doppio, fino al 40%, gli stranieri che ricevono protezione in Italia, contando altre forme giuridiche, la protezione sussidiaria e quella umanitaria, assegnate a chi appartiene a minoranze perseguitate, è minacciato da terrorismo non riferibile a governi, ecc. (dati: Consiglio Italiano per i Rifugiati, anno 2015, riceventi una delle diverse forme di protezione prevista 42%, 2016, primo semestre, 35%). Risultati immagini per italia europaE gli altri, quelli che non ricevono protezione, non sono così facilmente rimpatriabili: senza la collaborazione dei Paesi di provenienza, e senza fondi adeguati, il rimpatrio forzato è assai difficoltosa. Gestione dei profughi anche privi del bollino “europeo”, gestione della complessa questione dei rimpatri degli immigrati non riconosciuti, ricollocamento: su tutto questo, l’Italia ha da mesi in corso una discussione difficile. Avramopulos si è espresso poco dopo la caduta del governo italiano: non per caso. Ancora più veloci i ministri dell’economia europei, durante la riunione del cosiddetto Eurogruppo, lo scorso lunedì 5 dicembre: in assenza del collega italiano Padoan, dimissionario, con tutto il governo, da qualche ora soltanto, viene immediatamente stilato un documento che torna ad agitare il mancato rispetto del tetto sul debito pubblico, e avverte che la flessibilità di bilancio pretesa dall’Italia per le spese del terremoto e dei migranti è tutta da discutere. Questo spiega l’insistenza del Presidente della Repubblica Mattarella perché un nuovo governo, una volta preso atto delle dimissioni di Renzi, non fosse un governo d’emergenza, incaricato soltanto di organizzare le prossime elezioni, e tanto meno un governo in carica per i soli affari correnti, un Renzi dimissionario e “anatra zoppa”. E spiega, scontando le polemiche politiche sul “governo-fotocopia”, come ci fosse almeno una fotocopia necessaria, forse l’unica, quella del ministro Padoan. Questo, almeno, nella misura in cui lo scostamento dalle regole di bilancio della UE può essere ottenuto sulla base di qualcosa di molto diverso dalle previsioni economiche. Infatti, che l’Italia raggiunga una crescita di +1% del PIL è la pietra angolare di tutta la costruzione del bilancio nazionale: se quest’obiettivo sarà raggiunto, tutto il resto si reggerà, e Bruxelles sarà soddisfatta, o almeno manderà giù. E’ discussione accesa, tra gli economisti, se questo sia possibile: la differenza è che Padoan, come ministro dell’economia, ha i mezzi (senza essere onnipotente) per alterare le previsioni, non essendo più un professore che conta i dati, ma un politico. Questo elemento, tutto politico, e niente affatto tecnico, diciamo pure la parola e la credibilità di Padoan,  e attraverso di lui del governo e del Paese, nel mettere in campo misure adeguate a raggiungere il fatidico 1%, si è incrinato in poche ore, già dalla mattina di lunedì 5, e quelle descritte sono state solo le prime crepe. Naturalmente, le future elezioni possono dare agli elettori ogni genere di carta da giocare: persino votare una maggioranza parlamentare che non confermi l’impostazione attuale, e, persino, in teoria, uscire dall’euro, o comunque cambiare completamente atteggiamento verso la UE. Ma oggi, con la presente maggioranza alla Camera e al Senato,pur lacerata dal referendum ma almeno (abbastanza)  concorde sulle politiche di bilancio, sicuramente il Presidente della Repubblica non poteva che insistere sulla necessità, di patria e non di partito, di non lasciare all’improvviso la sedia vuota al tavolo di Bruxelles.

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