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Agroecologia: una via per un futuro sostenibile.

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Expo 2015 ha rappresentato un punto di svolta per il mondo agroalimentare in diversi settori, ma la principale eredità che ha lasciato è stata quella rappresentata dalle innovazioni e dal maggiore impegno nel settore dell’agricoltura sostenibile. Un forte input in questo senso proviene dalla maggiore coscienza con cui i governi di tutto il mondo pensano, oggi, all’agroecologia, come il principale sistema agricolo in grado di garantire un futuro al nostro pianeta. Il percorso dell’agroecologia non è stato facile. Tale paradigma nasce già negli anni ottanta, ma allora i suoi principi erano considerati più vicini ad una pseudoscienza, che a un vero e proprio sistema in grado di rappresentare un valido approccio etico e funzionale all’agricoltura. Oggi l’agroecologia si è ritagliata un posto nel pensiero collettivo. Essa viene vista come una vera e propria scienza capace di applicare i fondamenti ecologici ed etici alle tecniche agricole, il più importante contributo allo sviluppo di una agricoltura sostenibile, che sia biodiversificata, produttiva, resiliente e socialmente giusta. Le tecniche agroecologiche non prevedono l’uso di fertilizzanti e pesticidi chimici; l’ideologia che li governa si basa sulla condivisione e conservazione delle sementi, sulla diversificazione dei sistemi agricoli e sull’uso di sistemi naturali per aumentare il raccolto, controllare i parassiti e incrementare la fertilità dei terreni. Oggi, più che mai, l’agroecologia risulta necessaria per cercare di porre un rimedio ai numerosi danni provocati dall’agricoltura industriale. Questa forte convinzione è alla base del pensiero del fisico e teorico Fritjof Capra, autore del libro “Agricoltura e cambiamento climatico”, nel quale egli  sottolinea come vi sia un doppio legame tra l’agricoltura industriale e i cambiamenti climatici: da una parte, l’industrializzazione ha incentivato un sistema agricolo basato sulle monoculture e sulla chimica, decisamente più vulnerabile agli eventi climatici estremi; dall’altra, proprio questa eccessiva sensibilità agli sconvolgimenti del clima ha portato ad un aumento delle emissioni di gas serra per via del ricorso ai combustibili fossili e a grandi quantità di energia. L’agricoltura industriale ha costruito, dunque, un “sistema malato”. Questa pungente affermazione è parte del pensiero del noto agronomo e pioniere dell’agricoltura biologica e delle pratiche biodinamiche Pierre Rabhi; egli ha più volte ammonito la comunità mondiale riguardo alle molteplici conseguenze dell’attuale sistema agricolo: biodiversità a rischio, salinizzazione, scomparsa delle api, distruzione dei metabolismi naturali delle terre coltivabili, eccessiva urbanizzazione e molto altro. Lo stesso Rabhi è uno dei più forti sostenitori della diffusione delle pratiche dell’agroecologia attraverso la formazione di associazioni sul territorio. Questo metodo di diffusione rappresenta, infatti, il più adatto all’ideologia agroecologica, basata principalmente sulla condivisione; ne sono la prova le molte reti di agricoltori che, già oggi, promuovono innovazioni ed idee nel settore. Il loro pensiero è semplice e si fonda su molteplici ragioni: L’agroecologia è socialmente attivante, in quanto spinge ad una partecipazione costante per il suo sviluppo e la sua diffusione. Essa si basa su conoscenze tradizionali che possono dialogare perfettamente con gli approcci scientifici moderni. Promuove tecniche economicamente sostenibili, perché incentiva l’uso di conoscenze indigene, agrobiodiversità e risorse locali, e favorisce la progettazione di sistemi chiusi non dipendenti da input esterni. L’agroecologia non tenta di modificare i sistemi di produzione esistenti, ma piuttosto cerca di ottimizzarne le prestazioni incentivando diversificazione, sinergia ed efficienza. Riduce la dipendenza da pratiche agricole industriali molto costose, quali fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi, ma anche OGM. In questo modo, i fondi liberati potrebbero essere investiti nella ricerca e nell’innovazione. Nel fermento moderno attorno all’agroecologia l’Italia si colloca in una posizione d’avanguardia. Già durante Expo 2015, il viceministro alle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Andrea Oliviero ha affermato che: “L’Italia è convintamente rivolta verso un modello di compatibilità del sistema agricolo con l’attenzione all’ambiente”. Ha, poi, aggiunto: “Tutte le misure messe in campo in questi ultimi anni, in particolare con la Pac e i Psr regionali, sono volte alla sostenibilità e al sostegno, in particolare all’interno del comparto, alle forme di agricoltura meno impattanti o che hanno benefici per il territorio. Come l’agricoltura biologica che oggi occupa l’11% di tutta la superficie utile agricola e che noi contiamo di fare crescere in maniera considerevole negli anni a venire attraverso un piano organico che stiamo sostenendo a livello nazionale e con le Regioni”.  Due significative iniziative in tal senso sono state discusse presso Cascina Triulza (unico spazio sopravvissuto di Expo 2015) lo scorso 9 Maggio 2016: la prima riguarda un Centro di ricerca internazionale per l’agroecologia voluto da Legambiente e configurato come un’intesa tra associazioni agricole, atenei e aziende del settore. Un polo del genere è necessario, secondo il coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia Damiano Di Simine, perché il boom dell’innovazione dei fitofarmaci e dei fertilizzanti, iniziato negli anni ’40, ha provocato grandi rallentamenti nella ricerca di metodi alternativi. Dunque è necessario rimettere in moto la ricerca nell’ambito dell’agroecologia, anche grazie al rinnovato interesse suscitato da Expo 2015. La seconda iniziativa riguarda un laboratorio di filiera “green” per la tutela dei prodotti 100% Made in Italy. Tale iniziativa, chiamata Chilometro Verde, si deve al Socializing Institute, associazione di marketing etico che applica il tech e il digitale ai settori tradizionali. Il presidente dell’associazione, Andrea Farinet, spiega che il progetto consiste nell’«applicare le migliori tecnologie per preservare il terreno coltivato e garantirne integrità, identificare la tipologia di semina più sostenibile, minimizzare l’utilizzo di qualsiasi elemento nocivo, dai fitofarmaci alla scelta del packaging e utilizzare etichette aumentate per garantire la tracciabilità e il corretto consumo». Quindi, un codice di tecniche e comportamenti per rendere più sostenibile il rischio per l’ambiente e per tutelare il consumatore finale, grazie al quale dar vita ad una filiera più concisa e più trasparente in tutti i suoi passaggi, dalla logistica al ricarico sui prezzi. Grazie ad iniziative come queste, l’agroecologia si presenta come la più concreta ed efficace alternativa all’agricoltura industriale. Essa permette di affrontare la produzione agricola in maniera più efficiente sia dal punto di vista etico che da quello economico, permettendo di pensare al prossimo futuro

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