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Destra e sinistra

Domenico MamoneHa ancora senso dibattere sulla vexata quaestio della sopravvivenza o meno della coppia antitetica destra e sinistra nel nostro Paese, soprattutto alla luce dell’attuale governo? Ha ragione il premier Conte nel sostenere che questa dicotomia è superata (lo disse anche Mario Monti), posizione condivisa con i Cinquestelle e con parte della Lega? O si può convenire su analisi che leggono addirittura un testacoda a fronte di una sinistra diventata ultraliberista e di una destra sociale che attua politiche di tipo socialista, vedi l’idea di nazionalizzare autostrade o compagnie aeree?

Il dibattito non è nuovo e rimanda, ad esempio, al più fortunato libro sul tema, Destra e Sinistra (appunto), scritto da Norberto Bobbio venticinque anni fa, ma ancora attuale. In tempi più recenti si sono misurati sull’argomento anche Carlo Galli con il suo Perché ancora destra e sinistra fino a Maurizio Pallante, il leader italiano della decrescita, con il più polemico Destra e sinistra addio.

E se molte situazioni internazionali avevano già sparigliato le carte – ad esempio l’adesione del centrosinistra all’ultraliberismo di Blair o di Clinton, entrambi buoni amici del mondo creditizio e finanziario, o il colpo di fulmine della destra per Putin – oggi l’anomalia di un governo frutto di un contratto tra forze decisamente dissonanti aggiunge nuovi elementi al dibattito.

Lo diciamo subito: noi riteniamo che la dicotomia tra le due categorie, per quanto pluridimensionale, non abbia perso quel senso, quella funzione e quel riferimento ideale che hanno avuto una lunghissima permanenza storica, sin dalla Rivoluzione francese.

Insomma, resta una validità concettuale nella biforcazione destra-sinistra che la rende più o meno adeguabile ad ogni tempo.

Per quanto mitigate e talvolta degenerate a causa di sopravvenuti fenomeni globali (la caduta del Muro, la mondializzazione, il neoliberismo, la crisi degli Stati tradizionali, le nuove tecnologie, le migrazioni, le metamorfosi nel mondo del lavoro), le posizioni su temi complessi quali la sicurezza, l’economia, la causa religiosa o laica, la giustizia, l’immigrazione, la legalità, eccetera, presentano diramazioni in linea con le ideologie di base.

In questa eterna collisione tra “le due metà del cielo” politico, nella loro forma tradizionale, si è perpetuato il conflitto tra la spinta al mutamento da una parte e il valore della conservazione dall’altra, tra il radicalismo dell’eguaglianza e il culto di una libertà individuale attorniata da regole. Se le battaglie della sinistra hanno concorso ad estendere i diritti sociali e a rompere molti tabù morali, la destra ha costituito un argine contro il sovvertimento di alcuni valori tradizionali o l’annullamento delle individualità.

Questo conflitto paritetico, per paradosso, ha generato la linfa per far crescere le democrazie.

Pur rimanendo inalterati quei riferimenti teorici, sebbene sbiaditi, è l’asse morfologico destra-sinistra ad aver però subito mutamenti.

La sinistra ha innanzitutto visto venir meno il suo blocco sociale – e bacino elettorale – di riferimento a causa principalmente delle trasformazioni del mondo del lavoro e della società: se tradizionalmente ha rappresentato gli operai e i ceti più umili, trovando una naturale sponda nel mondo sindacale e nel terzo settore, l’affermazione del terziario e dei servizi da una parte e le “guerre interetniche” tra poveri nelle periferie l’hanno spiazzata e ne hanno svilito il ruolo. Il principale partito di sinistra, erede del Partito comunista, ha sposato appieno la degenerazione della società dei consumi, dell’atlantismo e dell’europeismo, diventando il punto di riferimento dell’apparato pubblico e dei ceti più elevati, accusati di essere radicalchic.

La sinistra, proprio per questo disorientamento che genera frammentazione, finisce per pagare ogni esperienza di potere. Infatti ogni volta che è al governo è costretta, anche per contingenze internazionali, ad attuare politiche economiche e sociali – terreni dove dovrebbero emergere le diversità – analoghe a quelle della destra. Emblematico è stato il caso delle privatizzazioni.

Giorgio Gaber ironizzò proprio su questo svilimento “estetico” della sinistra più che dell’antagonista. E Franco Battiato nel suo Il ballo del potere evidenzia proprio la convenzionalità del rito del potere occidentale tra destra e sinistra.

Da parte sua, una destra sempre più muscolosa, sdoganata e presenzialista è riuscita ad intercettare più agevolmente le nuove istanze dell’elettorato, alimentando anche suggestioni in risposta alla crisi economica, al boom immigratorio e all’euroburocrazia. In fondo ha avuto vita facile nel recuperare valori della propria storia, dalla supremazia dell’elemento nazionale centrale, forte e riconoscibile (emblematici, in tal senso, i vessilli nelle politiche di sicurezza, dal controllo del territorio alla lotta all’immigrazione clandestina, dal diritto all’autodifesa alle pene severe e certe) fino all’attenzione al mondo produttivo, alla famiglia, al mondo cattolico, ai valori spirituali.

Forse è proprio il venir meno dei riferimenti ideologici, condivisibili o meno, a generare una politica di basso profilo e senza più spartiacque, dove nuove diatribe di cui si potrebbe fare a meno – vedi il no ai vaccini o la lotta alle opere pubbliche – finiscono per diventare nuova merce di consenso trasversale. Viceversa il superamento – e non l’annullamento – degli steccati tra destra e sinistra dovrebbe concretizzarsi nella coralità alla lotta all’illegalità, alla corruzione, al demerito, alla delinquenza o all’inefficienza amministrativa. Questioni cruciali per l’affermazione del bene comune attraverso lo sviluppo economico e l’innalzamento della qualità della vita.

(Domenico Mamone)

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