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Gig economy, necessario rivedere la legislazione del lavoro

Domenico MamoneLo scorso 25 ottobre, in Belgio, la piattaforma Deliveroo ha reso nota l’intenzione di interrompere la collaborazione, a partire dal 2018, con la cooperativa Smart, che finora aveva garantito ai ciclofattorini della piattaforma una forma di impiego contrattualizzato come lavoro dipendente con le conseguenti tutele di tipo previdenziale e assistenziale. Un caso pressoché unico in Europa che assicurava ai lavoratori assistiti condizioni lavorative sostanzialmente migliori di quelle dei loro colleghi di altri Paesi.

I fattorini probabilmente saranno costretti ad abbracciare il lavoro autonomo, o la cosiddetta “auto-imprenditorialità”, senza più garanzia di salario minimo, senza accesso alla disoccupazione, alla pensione, ad un’assicurazione contro gli infortuni.

Perderanno, insomma, quelle tutele che la cooperativa aveva negoziato per loro.

La decisione di Deliveroo è stata favorita anche da un progetto di legge del governo belga che sottrae a fiscalità e contribuzione i redditi da lavoro autonomo fino a seimila euro: uno scenario che interessa in modo particolare i platform workers.

Secondo Chiara Faini, già coordinatrice dell’ufficio Smart di Schaerbeek, in Belgio, e attualmente responsabile della sede romana della cooperativa “in Belgio si è persa un’importante occasione di riconoscere, a livello governativo, le necessità ed i bisogni concreti di una classe di lavoratori in costante aumento: non sono solo i riders, ma anche i grafici, i fotografi, gli uffici stampa ai quali sempre più spesso è imposta una flessibilità delle condizioni di lavoro che si risolve in un’erosione graduale dei loro diritti. Le istituzioni dovrebbero invece farsi carico di questi bisogni e tradurli un quadro legale tutelante e professionalizzante, riconoscendone specificità, ed evitando di ricorrere alla obsoleta contrapposizione tra lavoro autonomo e lavoro dipendente”.

Il problema per i lavoratori è figlio anche della dinamica aziendale: le cosiddette sharing economy (l’economia della condivisione) e gig economy (l’economia dei lavoretti) mostrano tutte le loro contraddizioni. Un conto è mettere a reddito i posti liberi in un’automobile, e generare benefici anche in termini di riduzione dell’inquinamento, altro è spostarsi su chiamata. Un conto è integrare il reddito, facilitati dalle nuove tecnologie, altro è un sistema di lavoro incentrato sulla precarietà e sull’intermittenza. Qui c’è la netta differenza tra l’etica d’impresa e la globalizzazione freelancizzata, che conta soprattutto su una disoccupazione giovanile alle stelle. Lo sciopero dei rider di Foodora lo scorso anno gettò finalmente una luce su questo mondo.

Ma Deliveroo, Foodora, Just Eat, Uber Eats costituiscono ormai un buon pezzo di futuro. Da poco è sbarcata in Italia anche la spagnola Glovo con app per la consegna di ogni cosa a domicilio, dal cibo ai fumetti (anche se non mancano disservizi, come pizze ordinate e mai arrivate). Il progresso non si ferma, ma va comunque gestito.

Ecco perché suscita interesse la proposta di legge “Disposizioni in materia di lavoro autonomo mediante piattaforma digitale”, primo firmatario l’onorevole Pietro Ichino, presentata alla Presidenza del Senato lo scorso 5 ottobre, che ha il merito perlomeno di togliere da una sorta di “terra di nessuno” i platform workers, portandoli in un quadro normativo più chiaro e garantendogli alcune protezioni minime, come sottolinea Anna Soru, presidente di Acta, associazione di lavoratori autonomi.

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