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La ripartenza? Dipenderà dalle relazioni umane

Mentre si sta esaurendo il 2020, l’anno più funesto dal dopoguerra ad oggi, con il pensiero – almeno con quello – già siamo alla fuoriuscita da questo incubo, che però non avverrà prima di qualche altro mese. Intanto ci vorranno soprattutto cautela e perseveranza da parte di tutti.

Al di là della doverosa attenzione su vaccini e Recovery Fund, i due principali e concreti cardini per la ripresa, ci si interroga su cosa cambierà dopo questo disastro fisico e morale per l’umanità tutta. Probabilmente cambierà poco non appena ci sarà il “liberi tutti”: lo abbiamo visto la scorsa estate. Tuttavia non potremo rinnegare il fattore basilare per riprendere le nostre abitudini, buone o cattive che siano: la necessità delle relazioni umane.

Tra i tanti aspetti emersi nella fase pandemica, ce n’è uno centrale: abbiamo bisogno di incontri positivi. Ne hanno bisogno gli ammalati, che non possono essere lasciati soli ad un destino spesso incerto. Ne hanno bisogno coloro che sono piombati in difficoltà economiche, che necessitano di aiuti materiali e morali. Ne hanno bisogno gli operatori commerciali, che senza clienti rischiano di chiudere le saracinesche. Ne hanno bisogno gli imprenditori, che senza mercato privano la società di basilari beni e servizi.

Un esempio di questa necessità di relazioni umane ad ogni livello viene dai viaggi, in fondo da sempre il primo strumento di contatto tra i popoli. Oggi questa parola ha assunto, però, principalmente un duplice significato: da una parte c’è chi si muove per necessità, si pensi alle migrazioni sempre più epocali; dall’altra è legata alla principale industria mondiale, quella del turismo. Due aspetti in fondo contrapposti, ma strettamente legati al momento storico che stiamo vivendo.

Se non interverremo per mitigare disuguaglianze ed emergenze ambientali, il fenomeno migratorio, specie nella fase post-Covid, diventerà una vera e propria emergenza. La Chiesa cattolica, che nel leggere gli scenari s’è mossa sempre in anticipo, lo indica da tempo. Parallelamente se la macchina del turismo non si rimetterà in moto al più presto, la crisi economica lascerà tante vittime sul terreno.

Riguardo a questo ultimo aspetto, tra i tanti numeri che accompagnano questa fase, c’è un dato indicativo: l’Enit calcola che i turisti in Italia quest’anno saranno 57 milioni in meno (un calo del 49 per cento rispetto all’anno scorso), con ben 186 milioni di pernottamenti turistici in meno (meno 56,2 per cento rispetto al 2019) e una spesa turistica crollata di 71 miliardi di euro. Se il turismo solitamente in Italia apporta il 13 per cento del Pil, quest’anno scenderà al 7,2 per cento.

Emblematico il dato sugli aeroporti: dal primo gennaio al 20 settembre c’è stato un calo complessivo dell’84,2 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019, a causa delle chiusure verso e da numerosi paesi stranieri (meno 91,7 per cento dalla Cina, 90,6 dagli Usa, 70,5 dalla Francia). Le regioni che stanno pagando il prezzo più alto al calo turistico sono Veneto, Lombardia, Toscana, Lazio ed Emilia-Romagna.

Secondo Federalberghi, ad ottobre nel settore sono andati persi circa 45 mila posti di lavoro temporanei e, una volta terminata la cassa integrazione, sono a rischio altri 80 mila posti.

Insomma, la ripartenza sarà collegata al “riavvicinamento sociale”. Ma, per evitare altri traumi, sarà necessario riscrivere le regole in termini di sostenibilità.

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